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4 Giugno 2020

Nella Libreria del Golem

Con l’intervista al proprietario Mattia, che durante la quarantena portava i libri a domicilio, iniziamo oggi un viaggio nelle librerie indipendenti torinesi

Aurora Saldi

Ragazzo con occhiali appoggiato con braccia incrociate su pacchi - Libreria del Golem

Mattia Garavaglia nella sua Libreria del Golem

Esiste un punto, a Torino, in cui la trafficatissima via Rossini incrocia corso San Maurizio e le strade disordinate del quartiere Vanchiglia si trasformano in quelle regolari del centro cittadino. Proprio lì, in quella curiosa terra di mezzo, sorge La Libreria del Golem, una gemma rara che rifrange storie e voci insolite. Abbiamo incontrato Mattia Garavaglia, il proprietario, che ci ha raccontato cosa voglia dire lavorare in una libreria indipendente.

Come nasce il tuo negozio e di cosa si occupa?
«La libreria nella forma attuale nasce tre anni fa, in via Santa Giulia. Poi, nell’agosto 2018, mi sono spostato qui. L’obiettivo è sempre stato quello di mantenere un occhio costante sul panorama dell’editoria indipendente e lasciare spazio a quello che solitamente resta più escluso dalla grande distribuzione. Sono molte le attività in campo: presentazioni, eventi, gruppi di lettura».

Cosa significa essere libraio? Come ti sei avvicinato a questo lavoro?
«Prima di questo mestiere ne ho fatti tantissimi e tutti molto diversi da quello che faccio adesso. Quando ho cominciato a lavorare qui mi sono reso conto che qualsiasi tipo di formazione teorica sulla professione di libraio sarebbe comunque stata insufficiente. Finché non lavori in libreria, infatti, non sai cosa realmente significhi. È un lavoro in cui occorre molta manualità, termine con cui intendo un insieme di capacità: saper parlare alle persone, saper capirle, saper capire i libri… Il mio mestiere è triplice: non sei solo un libraio nell’accezione più classico del termine: sei anche un imprenditore e un negoziante. Ho imparato questa professione sulla mia pelle».

Di solito l’idea di lavorare in mezzo ai libri è estremamente romanticizzata… Che ne pensi?
«È assolutamente così e non ne sono per niente contento. Sembra un aspetto positivo, ma a ben vedere secondo me sminuisce il lavoro che faccio e vale anche per l’idea di questo lavoro come vocazione. Non passo il tempo ad annusare le pagine dei libri: questo mestiere a me serve per vivere. Al mattino entro in negozio e faccio le pulizie, vado in bici a ritirare i libri dai distributori, gestisco la contabilità: è un lavoro incredibilmente fluido, quindi anche molto difficile. È importante parlare del mestiere di libraio come tale, perché penso sia il primo passo per mettere al centro anche i diritti del lavoro, cosa che, soprattutto nel campo della cultura, non è scontata. È vero, a trent’anni faccio quello che mi piace, ma non è mai stato facile e nemmeno all’inizio, quando lavoravo 80 ore a settimana e dormivo nel retro della libreria. Fare il libraio è anche questo e non se ne parla abbastanza».

Che rapporto ha la libreria con il quartiere? Il tuo cliente tipo viene da qui?
«È un rapporto molto buono: sento questo quartiere come mio, ormai mi conoscono tutti. Per quanto riguarda la clientela, il mio target nella maggior parte dei casi è quello delle ragazze tra i 20 e i 35 anni, questo perché in Italia le donne leggono tendenzialmente di più. Ci sono però anche molti clienti che vengono da lontano. Durante la quarantena ho raggiunto molte persone che altrimenti non sarebbero arrivate qui».

Durante l’emergenza hai messo in campo tantissime le idee per raggiungere comunque i lettori, come il pacchetto indipendente, con cui mandavi libri a sorpresa…
«Sì, devo dire che su questo aspetto ha giocato molto il fatto di essere giovane e fare parte di una rete di librai indipendenti: un circuito non ufficiale che è stato però fondamentale in questi mesi. Io e Giorgio, il libraio de La Confraternita dell’Uva di Bologna, ci siamo guardati negli occhi e ci siamo detti che le cose in questo periodo si sarebbero fatte difficili: quindi abbiamo unito le forze. Da questa sinergia sono nate tutte le idee che mi hanno concesso di portare avanti bene la mia attività anche in piena quarantena. Ci siamo anche divertiti, tra una fatica e l’altra. Avere una rete solidale attiva con altri librai fa molto in questi casi».

Com’è andata la riapertura?
«Quando ho riaperto avevo un genuino timore. La risposta dei clienti però è stata molto buona. Ho lavorato tantissimo i primi tre giorni, tanto che al quarto ho deciso di ampliare gli orari. È stato bello, si vede che le persone hanno tanta voglia di tornare in libreria. Sono anche sicuramente conscio del fatto che sto cavalcando l’onda lunga di quello che ho fatto in questo periodo, ora il rapporto personale con i clienti è molto più forte. Ti faccio un esempio: ho trovato un cliente che vive molto lontano, quindi non l’avrei mai raggiunto con il lavoro esclusivamente in negozio. Durante la quarantena ha ordinato tre libri di fantascienza: sono arrivato da lui stanchissimo e abbiamo fatto quattro chiacchiere sulla fantascienza, che nella mia formazione di lettore è stata molto importante. Adesso che ho riaperto, ogni sabato viene qui. Questo secondo me è il momento ideale per spingere sulla socialità, sulla vicinanza».

 

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