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3 Luglio 2020

“Troppe poche donne nell’organizzazione dei grandi eventi sportivi”

Intervista a Paola Melloni, che da manager di Olimpiadi e Universiadi lamenta la scarsità di figure femminili nelle posizioni che contano

Giovanni B. Corvino

Donna sorridente con badge al collo e bandierina coreana in mano - Paola Mellone

Paola Melloni all’Universiade di Napoli 2019

Paola Melloni è una consulente del mondo degli eventi multi-sport da ormai sedici anni. Svolge il suo lavoro di libera professionista per le maggiori organizzazioni internazionali del settore, come il Cio (Comitato Olimpico Internazionale) e la Fisu (Federazione Internazionale Sport Universitari).
La sua specializzazione è il Villaggio Atleti: si occupa di insegnare ai comitati organizzatori locali di Olimpiadi e Universiadi come seguire l’implementazione di tutti gli aspetti di pianificazione e di funzionamento, dalla loro ideazione all’utilizzo durante gli eventi.
Con lei abbiamo fatto una chiacchierata su cosa significhi essere una donna in un ambiente comunemente noto per la grande presenza maschile.

Quali disparità uomo-donna esistono nell’organizzazione dei grandi eventi sportivi?
«Le leader di questo settore sono ancora poche all’interno degli organigrammi che contano. Non mi riferisco al livello gerarchico, piuttosto alla persistente e fastidiosa idea che gli uomini siano più adatti per alcuni lavori rispetto alle donne. Posizioni di coordinamento chiave come Games Operations, Sport Management e Venue Management (gestioni tecnico-organizzative delle manifestazioni, delle discipline sportive e degli impianti, n.d.r.) sono quasi esclusivamente destinate alla leadership maschile. Non sempre è una questione di competenze. Gli aspetti decisionali ad alto livello purtroppo sono guidati da considerazioni a mio avviso datate, basate su stereotipi attribuibili a vecchi stili di leadership e su una concezione verticale dell’organizzazione. Oggi servono leader facilitatori del lavoro di gruppo e degli ambienti dinamici e complessi, che richiedono una grande predisposizione alla diversità di pensiero».

Puoi farci un esempio pratico di quanto sostieni?
«Quando mi sono ritrovata in situazioni di responsabilità, le difficoltà di interagire con molti uomini erano legate al fatto che vi fosse la percezione che io dovessi essere aiutata nello svolgimento del mio lavoro, anche quando avevo a disposizione una grande squadra di professionisti. Essere percepita come “non autonoma” nelle scelte operative importanti è frustante. Credo che le donne dovranno imparare molto su come gestire le critiche. Ho l’impressione che quest’ultime spesso siano più dure rispetto a quelle destinate ai colleghi uomini».

Quanto ci hai appena raccontato è emerso anche durante l’Universiade 2019 di Napoli, dove sei stata Venue Manager?
«In parte sì, come anche in altri eventi. Devo però dire che ho seguito con molto orgoglio questa Universiade, poiché ho avuto il grande privilegio di lavorare con diverse istituzioni locali, in modo particolare con il Porto e la Stazione Marittima, con cui ho coordinato l’esecuzione di uno dei progetti più innovativi mai realizzati al mondo: il primo Villaggio Atleti sull’acqua. Napoli ne ha avuto un grande merito e per me è l’indimenticabile ricordo di un’esperienza a cui rimango particolarmente legata per le amicizie che sono rimaste dopo».

Cosa pensi della candidatura di Torino per l’Universiade 2025?
«Ne sono davvero contenta. Credo offrirebbe un importante impulso alle giovani generazioni, che con le loro idee e aspettative potrebbero dare un contributo a una nuova trasformazione della nostra città. Lo sport e questi eventi multidisciplinari hanno il grande vantaggio di innescare un indotto di molteplici iniziative culturali con una ricaduta territoriale importante, che riconosce la gioventù come ambasciatrice dell’innovazione sociale».

Quali consigli ti senti di dare ai giovani che vogliono avvicinarsi a questo settore?
«Io ho incominciato nel 2004 per le Olimpiadi Invernali di Torino 2006. Avevo 31 anni e servivano persone con grande padronanza dell’inglese per interagire nei vari gruppi internazionali di lavoro. Ancora oggi le competenze linguistiche sono imprescindibili. Bisogna però sempre restare all’erta: estrema competizione e individualismi gratuiti possono impedire di vivere l’esperienza professionale in modo costruttivo. Questo è quanto ho vissuto proprio a Torino 2006. Ho imparato molto, ma purtroppo lo stile lavorativo italiano è carente di quei valori e quelle capacità che servono per far eccellere i gruppi e i giovani. Non a caso ho dovuto formarmi principalmente all’estero. Oggi invece ho molti colleghi italiani che hanno portato qui le loro competenze in svariate occasioni. Sicuramente è un lavoro che si deve fare per scelta e che comporta sacrifici non indifferenti, poiché viene richiesto di passare molto tempo lontano dal proprio Paese. Si può pensare di iniziare anche come volontari, così da comprendere l’organizzazione generale, capire in cosa specializzarsi, ma soprattutto se è l’ambiente giusto per il proprio futuro».

 

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Categorie: Lavoro, Sport

Commenti (2)

  1. Chiara Cravero ha detto:

    Ci sono molte cose che attualmente stanno cambiando; il lavoro da casa grazie a internet, la lingua inglese che ci insegna a comunicare senza troppi orpelli all’italiana che, tra lei, illustre e così via ci perdiamo il nesso della comunicazione e integrazione tra le parti.
    Avverto un futuro prossimo migliore, dove la donna manager può decidere se avere figli o meno, indipendentemente dai sacrifici che comporta la carriera e il ruolo di madre.
    A questo punto la donna manager vale il doppio.

  2. chiara ha detto:

    I miei complimenti per l’articolo, ben scritto e ahimè veritiero.
    C’è ancora troppa differenza sociale tra i sessi.
    Una donna manager difficilmente ha figli, si trova quasi sempre al bivio, tra il percorso lavorativo o il crearsi una famiglia.
    Ma in quanto donna è creatrice, non solo di figli, bensì di progetti lavorativi.
    Sarebbe intelligente ritornare al nostro passato remoto, costituito da gruppi sociali matrilineari.
    La guerra, l’arrivismo NON È al femminile.

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