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7 Luglio 2020

Nora Book & Coffee, cultura Lgbt e caffè

Continua il nostro viaggio nelle librerie indipendenti torinesi: oggi ci spostiamo nel Quadrilatero Romano per un negozio molto particolare

Aurora Saldi

Bancone caffetteria con bandiera arcobaleno, tavolino con sedie e scaffale con libri - libreria Nora Book & Coffee

La libreria Nora Book & Coffee

A pochi passi da via Garibaldi c’è una zona bohémien che in breve conduce al caotico vociare del mercato di Porta Palazzo: è il Quadrilatero Romano di Torino. Un quartiere ibrido, fatto di strade che vivono per lo più di notte. Proprio qui è nata la libreria Nora Book & Coffee, curiosa creatura anch’essa multiforme creata da Vincenzo Vacca e Denise Cappadonia. Abbiamo intervistato quest’ultima per saperne di più.

Di che cosa si occupa la vostra libreria?
«Ci occupiamo in maniera strutturata di genere, di narrazioni Lgbtqiap+ in un luogo inclusivo e di scambio su questi temi. Abbiamo creato esattamente quello che immaginavo. Io partivo con una laurea magistrale in Antropologia Culturale: la mia tesi era proprio sul genere. Enzo e io avevamo parlato spesso di come si potesse costruire qualcosa di accessibile a tutti partendo dal contesto antropologico, quindi con una solida base teorica. Volevamo allargare l’accesso alla cultura di genere e Lgbtqiap+. Abbiamo pensato a uno spazio in cui ci potesse anche essere un confronto più ludico, non un circolo chiuso. Per questo abbiamo scelto di aprire anche una caffetteria».

Come nasce il negozio?
«La spinta decisiva è arrivata da mia madre. Allora Enzo e io lavoravamo di notte, facevamo gli inventari nei supermercati. Lei mi ha detto: “Se vuoi fare qualcosa di diverso nella tua vita, fallo adesso”. Così mi sono trovata a considerare una serie di idee che avevo e che potevano essere interessanti. Ho fatto un corso per avviare l’impresa, guardavo i locali in affitto, ma credevo che non ce l’avrei mai fatta. A pensarci adesso mi sembra assurdo! Poi quattro anni fa ho visto questo posto e me ne sono innamorata: ho subito visualizzato il mio progetto in modo molto più concreto e ho creato un business plan reale per capire quanto fosse sostenibile. Dopo sei mesi di cantiere, la parte più difficile del progetto, abbiamo cominciato a mettere insieme i tasselli».

Che rapporto avete con il quartiere?
«Abbiamo instaurato un rapporto simbiotico-amicale, che ci ha sostenuto nei momenti più difficili. Noi non lavoriamo con i turisti, non siamo un locale notturno: la nostra utenza è la comunità Lgbtqiap+. Eppure siamo riusciti a entrare in contatto con tutto il quartiere: oltre ai clienti, ho trovato tantissimi amici. Prima di noi tra l’altro questa via non aveva negozi diurni, abbiamo fatto da apripista».

Come avete vissuto il periodo del lockdown?
«Io ero molto preoccupata, anche perché noi abbiamo continuato a lavorare, ma ogni volta che qualcuno entrava in negozio non eravamo tranquilli. Anche noi abbiamo fatto le consegne a domicilio: più che per filosofia, come Mattia della Libreria del Golem, per esigenze pratiche. Non sapevamo come avremmo fatto altrimenti. È stato bello perché almeno potevamo uscire, rimetterci in contatto con questo lavoro che ci piace, invece di rimanere chiusi in casa. In questo modo abbiamo fortificato rapporti di amicizia che prima erano solo virtuali. La riapertura è stata molto dura, vedevo poca serenità intorno alla prospettiva di ricominciare e questo mi allarmava, ma tutti i nostri clienti ci hanno supportato tantissimo: è stato fondamentale. Se non fosse stato per la loro presenza e il loro sostegno, non saremmo sopravvissuti. Ci siamo resi conto che abbiamo raccolto i frutti dei rapporti umani instaurati in questi anni e che non abbiamo legami superficiali intorno a noi, ma le persone ci vogliono bene almeno quanto noi ne vogliamo a loro».

Quindi, tutto sommato, una ripartenza positiva?
«Sì, abbiamo anche fatto il primo evento della stagione. Sono venute 60 persone, ma abbiamo mantenuto la distanza di sicurezza. Tutto sicuramente è stato reso più facile dallo spazio esterno che il Comune ci ha concesso. Poi io, da commerciante, preferisco non lamentarmi: è stata una nostra scelta aprire un esercizio. Quando lo fai metti in conto certi rischi. Abbiamo sempre pensato che ci saremmo reinventati nel momento del bisogno e così è stato!».

 

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Categorie: Cultura, Lavoro

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