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15 Luglio 2020

AlmaLaurea 2020: buona la performance degli atenei torinesi

Positivo il rapporto annuale sull’occupazione di chi finisce gli studi e ottime notizie per chi sceglie i corsi di Unito e Politecnico

Vincenza Di Lecce

Laureata vista di spalle con corona di alloro in testa

Il Rapporto AlmaLaurea 2020 evidenzia la qualità degli atenei torinesi

Come se la passano i laureati? Se n’è parlato alla presentazione del Rapporto AlmaLaurea 2020 – avvenuta per la prima volta nella sede del Ministero dell’Università e della Ricerca – alla presenza del titolare del dicastero Gaetano Manfredi.
Sono oltre 290mila i giovani coinvolti nell’indagine sulle caratteristiche di chi ha portato a termine gli studi universitari nel 2019. I risultati non hanno evidenziato solo una maggiore regolarità nel finire e un abbassamento dell’età alla laurea. Tendenziale incremento anche per il tasso di occupazione rispetto al 2014: a un anno dal titolo +8,4% per laureati di primo livello e +6,5% per quelli di secondo livello. Un’indagine parziale fatta tra marzo e giugno 2020 registra però, rispetto alla rilevazione del 2019, un calo di entrambe le quote: rispettivamente -9 e -1,6 punti percentuali.

GLI ATENEI TORINESI
I due atenei torinesi registrano un trend sopra la media italiana: UniTo ha risultati migliori nel tasso di occupazione a 1 anno dalla laurea (75,9% contro il 71,7% nazionale) e a 5 anni dalla laurea (90,1% contro l’86,8% nazionale). Relativamente alla soddisfazione, a un anno dal titolo i laureati magistrali di UniTo considerano la laurea conseguita molto efficace o efficace per il 62,4% rispetto al 61,5% rilevato nel paese.
Per il Politecnico l’indagine evidenzia che in larga parte i giovani continuano gli studi dopo la laurea triennale. Ma tra chi non si è mai iscritto a un corso di laurea magistrale ed è quindi entrato nel mondo del lavoro, il tasso di occupazione risulta comunque del 78,7%, contro il 74,1% nazionale. Il dato di riferimento più significativo è quello che riguarda i laureati magistrali a 1 anno dalla tesi: è occupato il 90,5% di loro, un valore di gran lunga superiore alla media italiana del 71,7% e in crescita rispetto al dato dello scorso anno dell’88,6.

LA CONDIZIONE OCCUPAZIONALE
Il rapporto sulla condizione occupazionale dei laureati ha coinvolto circa 650mila giovani di 76 atenei. A un anno dal conseguimento del titolo, nel 2019 il tasso di occupazione è stato pari al 74,1% tra i laureati di primo livello e al 71,7% tra i laureati di secondo livello del 2018: il confronto con le precedenti rilevazioni evidenzia un tendenziale miglioramento.
Rilevanti le differenze tra i vari gruppi disciplinari: i laureati in ingegneria, nelle professioni sanitarie e in architettura mostrano le migliori performance occupazionali, con un tasso di occupazione superiore al 90,0%. Sono invece nettamente al di sotto della media i tassi di occupazione dei laureati dei gruppi insegnamento, letterario, psicologico e geo-biologico, con un tasso di occupazione è inferiore all’83,0%.
“Il Rapporto 2020 – si legge inoltre nella sintesi del Rapporto 2020 – comprova anche le tradizionali differenze di genere e, soprattutto, territoriali. La migliore collocazione è degli uomini (+19,2% di probabilità in più di essere occupati rispetto alle donne) e di quanti risiedono o hanno studiato al nord (+40,0% di probabilità di essere occupati rispetto a quanti risiedono al Sud e +63,7% di probabilità di essere occupati rispetto a quanti hanno studiato al Sud)”.

IL PROFILO DEI LAUREATI
Il rapporto conferma i dati positivi sulla regolarità degli studi: nel 2019 ha concluso in corso il 55,7% dei laureati. Confermato anche il trend di abbassamento dell’età media al momento del conseguimento della laurea: 25 anni per gli studi triennali, 27 per quelli biennali e magistrali a ciclo unico.
Nel Rapporto 2020 risalgono poi a galla i già noti elementi di disuguaglianza a livello territoriale, sociale e di genere. In particolare, per quanto riguarda il profilo, si osserva che i laureati provenienti da famiglie più svantaggiate – non solo in termini economici ma anche livello di istruzione dei genitori – studia per meno anni e anche quando arriva a iscriversi all’università sceglie corsi di laurea più brevi.

 

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