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22 Luglio 2020

Break the silence: rompere il silenzio contro la violenza di genere

Intervista alle ragazze torinesi fondatrici di una pagina Instagram che in poco più di un mese è diventata virale raccogliendo storie di vittime e consigli di chi si occupa del problema

Adriana Scatolone

Disegno bocca rossetto rosso con scritta Break the silence

La pagina Instagram @breakthesilence_ita in un mese ha raccolto oltre 3.000 follower

Tutto nasce da un episodio: venerdì 5 giugno uscendo con delle amiche Mariachiara Cataldo, studentessa universitaria, si sente rivolgere da alcuni ragazzi parole molto spiacevoli e sessualmente offensive. Così decide di sfogare la sua rabbia sui social, provocando un effetto a catena che ha spinto moltissime ragazze a condividere le proprie storie. A questo punto le viene l’idea di aprire la pagina Instagram @breakthesilence_ita, da gestire insieme a chi era con lei quella sera: Francesca Valentina Penotti, Francesca Sapey e Giulia Chinigò, tutte universitarie di Torino, tutte classe 1997.
L’account in pochissimo tempo ottiene un largo seguito in tutta Italia. Abbiamo voluto intervistare queste giovani attiviste per farci raccontare del loro progetto di sensibilizzazione sulle violenze di genere, quali attività propongono e cosa possiamo fare nel nostro piccolo per contrastare il problema.

Quali sono i vostri obiettivi e le modalità di azione?
Mariachiara Cataldo: «La nostra mission principalmente è rompere il muro del silenzio che si è creato attorno alla violenza di ogni tipo, in particolar modo sessuale, e attorno alle discriminazioni di genere o di orientamento sessuale. Per ora abbiamo deciso di raccogliere tutte le testimonianze che le persone hanno deciso di voler finalmente condividere, in modo da combattere l’indifferenza: in nemmeno un mese dall’apertura della pagina sono arrivate circa 450 racconti di violenza, verbale, psicologica e fisica. Intendiamo inoltre, con l’aiuto di specialisti del settore, offrire un aiuto concreto alle vittime, organizzando degli incontri o delle interviste sui social, che coinvolgano direttamente i follower».

Cosa avete in programma?
Francesca Penotti: «Abbiamo organizzato dei weekend tematici in cui intervistiamo esperti del settore: questo perché non vogliamo in nessun modo sostituirci a chi è competente nei campi afferenti agli argomenti di cui trattiamo, ma anzi vogliamo collaborare con loro. Parliamo dunque con avvocati, sessuologi, psicologi e vari professionisti e chiediamo alle forze dell’ordine cosa fare in caso di molestie. Raccogliamo le domande anche tra chi ci segue. I prossimi weekend in programma tratteranno di diritto civile, sessuologia e psicologia dell’età evolutiva».

Avete in mente attività di sensibilizzazione da proporre alle scuole?
Francesca Sapey: «A causa delle problematiche inerenti all’emergenza sanitaria, il programma per le scuole è ancora in divenire. Ma vorremmo senz’altro portare più educazione sessuale e attività ludiche e laboratoriali per educare i ragazzi fin dalla più tenera età. Inoltre ci piacerebbe organizzare incontri con genitori e corsi per docenti per formarli su come agire in determinate situazioni di discriminazione».

Siete state ricevute da diverse istituzioni comunali e regionali. Come si pone Torino verso questo problema?
Giulia Chinigò: «Il Comune fin da subito si è mostrato molto aperto e disponibile nei nostri confronti, chiedendoci di incontrarci e collaborare. Ci sta aiutando ad attuare progetti e a trovare contatti con la Polizia Municipale e il Coordinamento cittadino contro la violenza sulle donne. Torino è sempre stata avanti riguardo alla tematica violenza, donne e comunità Lgbt ed è quindi pronta a sostenere il nostro progetto: sarà un aiuto e un sostegno reciproco per promuovere un cambiamento culturale radicale».

Collaborate con altre realtà?
Francesca Penotti: «Sì, con il progetto Io sono Alice del Centro Antiviolenza Mascherona di Genova e con altre pagine che trattano degli stessi argomenti. Abbiamo inoltre la disponibilità di Jo Squillo per l’eventuale inaugurazione del Muro delle Bambole a Torino, dedicato alle vittime di femminicidi. Prossimamente, vorremmo incontrare i rettori di Unito e Polito e pubblicizzare quello che già fanno l’università e altre associazioni comunali: è importante far sapere che gli esperti ci sono e lavorano bene».

Che cosa può fare ciascuno di noi, nel proprio piccolo, per scongiurare la differenza e la violenza di genere?
Mariachiara Cataldo: «Per prima cosa, combattere la violenza passiva, dunque non essere indifferenti davanti ad episodi di violenza. Tipico esempio: se sul pullman si “aprono di più gli occhi” e ci si accorge di una situazione critica, sempre mettendo la propria sicurezza personale al primo posto: intervenite! Purtroppo molte vittime, in seguito a episodi di molestie e abusi, si sono sentite scoraggiate e non hanno denunciato proprio a causa dell’indifferenza da cui erano circondate. Reagire e aiutare sono i primi passi per combattere questa realtà distorta radicata nella società. Per l’appunto: rompete il silenzio».

 

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Categorie: Intercultura

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