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3 Settembre 2020

Il Corpo Europeo di Solidarietà, volontariato senza confini

In attesa che si possa di nuovo muoversi in sicurezza da un capo all’altro del continente, scopriamo l’evoluzione di quello che una volta era lo Sve

Noemi Casale

Volontari Corpo Europeo di Solidarietà

Con il Corpo Europeo di Solidarietà si fa volontariato in Europa

Da più di vent’anni l’Unione Europea propone programmi di volontariato internazionale dedicati ai giovani dai 18 ai 30 anni che vogliano mettersi in gioco per un periodo che varia da un paio di settimane a 12 mesi.
Le opportunità sono molteplici e ciascuno può trovare l’ambito più adatto alle proprie aspettative: dalla tutela dell’ambiente all’accoglienza e l’integrazione di migranti, dalla promozione della salute all’educazione. Il progetto copre i costi di vitto e alloggio, un rimborso delle spese di viaggio, l’assicurazione sanitaria e la formazione linguistica nel paese di destinazione.

Si tratta dell’evoluzione del Servizio Volontario Europeo, anche conosciuto come Sve, presentata alla fine del 2016 dall’allora presidente della Commissione Ue Jean-Claude Junker e porta ora il nome di Corpo Europeo di Solidarietà (Esc).
È cambiata la forma, ma la sostanza rimane la stessa: dare ai volontari l’opportunità di contribuire alla costruzione di una società più inclusiva, creare consapevolezza delle varie realtà esistenti in Europa, formare una rete di persone che vogliano collaborare per cambiare il modo di vedere le cose, dare una risposta comune a problemi che non devono restare circoscritti agli stati membri in cui si presentano.
Una delle principali novità del programma Esc è inoltre la possibilità di vivere il soggiorno all’estero anche come percorso di tirocinio o lavoro.
Al momento, a causa della pandemia, molte attività sono sospese, ma ci si può comunque iscrivere al portale come possibile partecipante.

Il progetto è in Italia è coordinato dall’Agenzia Nazionale per i Giovani e non è da confondere con il Servizio Civile poiché si tratta di due esperienze diverse che, anzi, possono essere complementari e arricchire il volontario di soft skill che saranno fondamentali per il suo futuro.

Per avere un’idea di cosa possa significare partire per fare volontariato in Europa ci affidiamo alle parole di Giuliana, laureata in economia: «Alla fine delle triennale sentivo di voler prendere una pausa dagli studi prima di cominciare la specialistica e ho deciso di partire per uno Sve: avevo visto un progetto in Polonia che mi piaceva tantissimo, ma purtroppo non sono stata selezionata. Mi sono persa un po’ d’animo – continua – ma poi ho deciso di candidarmi per un altro progetto in Norvegia, a contatto con dei ragazzi disabili e sono partita! Sono stati nove mesi molto intensi, la sfida della lingua è stata la più impegnativa, ma ho imparato che cosa significhi essere empatici e rispettare i tempi degli altri. È un’esperienza che consiglio a tutti perché fa uscire dalla propria zona di comfort e permette a ognuno di scoprire in se stesso risorse inaspettate».

 

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Categorie: Intercultura

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