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23 Settembre 2020

I Moonlogue e la loro musica strumentale

Intervista alla band torinese che il 3 luglio ha pubblicato il suo primo disco, un concept album a tema ambientalista con brani senza testo

Adriana Scatolone

Collage immagini album Sail Under Nadir - Moonlogue

Sail Under Nadir è il primo album dei Moonlogue

Abbiamo fatto una chiacchierata con i Moonlogue, gruppo formato da Lorenzo Riccardino, Federico Mao e Mattia Calcatelli.
Ci hanno raccontato come è nato il loro primo disco Sail Under Nadir, uscito il 3 luglio scorso, facendoci scoprire con semplicità e passione cosa voglia dire suonare rock strumentale a Torino.

Da chi è composta la band e come è nato il vostro progetto?
Federico: «Lorenzo suona la chitarra, Mattia la batteria, io il basso e insieme a Lorenzo gestisco le basi di elettronica con il sintetizzatore. Mattia e io suonavamo insieme già in un altro gruppo, i Karin And Ugly Barnacles e Mattia e Lorenzo in un duo chiamato Glooom».
Mattia: «La band è nata a fine 2017 perché avevamo la stessa concezione della musica e sentivamo l’esigenza di innovarci e di sperimentare con nuovi strumenti, dando così una continuità ai progetti già avviati».

Quale genere musicale suonate?
F.: «Innanzitutto facciamo brani strumentali, tendenzialmente rock, ma spaziamo nelle sue sfaccettature come post-rock, electro-rock e space rock. Aggiungiamo basi di musica elettronica e utilizziamo i sample vocali, ovvero parti registrate di voci che inseriamo nei brani. I testi sono scritti da noi e sono stati recitati da un professore australiano di letteratura inglese, Oliver Hutchinson, che con la pronuncia madrelingua ha dato credibilità all’interpretazione».
M.: «Prossimamente la nostra idea sarà quella di utilizzare i sample anche in altre lingue e di sfruttare quindi anche altri interpreti».

Come nasce l’idea dell’album?
F.: «In realtà non siamo partiti con l’intenzione di scrivere un disco: abbiamo preparato prima dei brani che non erano collegati. L’idea di concept è venuta durante la lavorazione, mentre stavamo pensando a come unirli in una scaletta per eventuali esibizioni live. Tramite le parti scritte infatti, ci è venuta l’idea di trovare una storia che fungesse da collante».
Lorenzo: «Ci siamo fatti ispirare anche dalla sperimentazione strumentale. Non siamo partiti con l’intenzione di creare un brano che trattasse di un particolare argomento, ma siamo stati guidati nella scelta di un possibile tema dalle sonorità che siamo riusciti a ottenere».

Sail Under Nadir è un concept album: di cosa parla?
F.: «La tematica trattata è quella ambientalista. Ogni brano si sofferma su un particolare problema ambientale: per esempio in Rainyard, abbiamo voluto parlare di siccità con la contrapposizione di suoni di chitarra che ricordano la pioggia e le gocce, in Moonflares si evoca lo scioglimento dei ghiacci e in Nuages l’inquinamento atmosferico».
M.: «Tutti i brani sono anche legati da un filo sottile dedicato all’umanità. Si parla di un uomo che riceve un messaggio interstellare e parte dalla Terra alla ricerca del pianeta da salvare. Lungo il viaggio, capisce che a essere in pericolo è la Terra stessa e quindi ritorna indietro, dando una sensazione di ciclicità. L’ultimo brano si intitola 00 e vuole dare un segnale di speranza e di un possibile nuovo inizio».

Quali sono le fasi principali per scrivere un album?
F.: «Prima di tutto servono delle idee e non è assolutamente scontato riuscire a tradurre le proprie emozioni in un brano finale. Nella fase di scrittura si produce molto materiale che poi deve essere scremato in pre-produzione, momento in cui si tagliano delle parti, si aggiungono suoni e si cerca di dare una forma al pezzo. È importante però che l’album non sia un insieme di brani singoli, ma che questi abbiano coerenza fra loro. A questo punto si passa alla registrazione vera e propria e poi alla fase di mix, in cui si bilanciano le tracce».
L.: «Infine c’è il mastering, in cui si ottimizza l’audio per l’ascolto sulle piattaforme digitali. In generale è un processo molto lungo e noi ci abbiamo messo quasi due anni. Una volta che il disco è completato, c’è tutta la parte di marketing e promozione, per cui noi ci siamo affidati a un ufficio stampa di Firenze».

Com’è fare musica stando a Torino?
M.: «Torino è un buon posto dove crescere musicalmente, perché c’è molto fermento e tanti bravi musicisti che promuovono proposte interessanti».
L.: «Per quanto riguarda nello specifico il nostro genere, a Torino non conosciamo altre band che si presentano con simili proposte. Abbiamo voluto studiare intensamente le nostre sonorità e speriamo che il fatto di apparire come novità ci consenta di avere maggiori opportunità».

Progetti futuri?
F.: «Sicuramente un nuovo album, in cui ci sarà una sperimentazione sull’elettronica più marcata. Non ci siamo dati scadenze, ma stiamo già scrivendo pezzi nuovi che abbiamo anche suonato ai nostri concerti live sia a Torino sia a Londra».

 

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Categorie: Musica

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