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2 Ottobre 2020

Novecento in cortile, sei grandi scultori a Torino

Fino all’11 ottobre il Museo Accorsi-Ometto ospita una mostra in omaggio a grandi maestri dell’arte contemporanea, da Giò Pomodoro a Igor Mitoraj

Fabio Gusella

Grande volto in bronzo - Mostra Novecento in cortile

Luci di Nara pietrificata di Igor Mitoraj

Raccogliere i nomi più importanti della scultura della seconda metà del XX secolo in un unico spazio non era affatto semplice, eppure la mostra Novecento in cortile, allestita fino all’11 ottobre nel patio del Museo Accorsi-Ometto di Torino, pare esserci riuscita.

A pochi passi dal traffico cittadino, le undici opere in mostra dialogano fra loro perennemente sospese fra l’antico e il moderno, fra la riproduzione del classico e la rivisitazione contemporanea. Il percorso espositivo è a cura di Bruto Pomodoro, figlio dell’omonimo Giò, le cui opere sono esposte accanto a quelle di Igor Mitoraj, Arman, Riccardo Cordero, Ivan Theimer e Paolo Borghi.
Il cortile di Palazzo Accorsi, con il suo aspetto classicheggiante, dà alle sculture uno sfondo originale, generando un’oasi urbana in cui passato e presente si incontrano in un apparente paradosso temporale: artisti nati nel secolo scorso hanno ripreso temi e simboli antichi, senza tuttavia perdere la propria identità di uomini del ‘900.

La prima opera in cui ci imbattiamo è Mercurio, scultura in bronzo realizzata negli anni Ottanta dall’artista francese Arman, al secolo Pierre Fernandez Armand (1928-2005), noto soprattutto per le sue “frammentazioni”. Cosa si intende con questo termine? Pur ispirandosi al celebre Mercurio volante (1580) del fiammingo Giambologna, Arman non si è limitato a riprodurre il modello cinquecentesco, ma lo ha appunto “frammentato” tagliando la figura in più fette verticali.
Inoltre, accanto alle proverbiali ali ai piedi, il suo Mercurio presenta le ruote di una motocicletta e invece del caduceo impugna un manubrio. Dall’anatomia del dio spuntano anche fanali e parafanghi: un antico mito greco viene così accostato e sovrapposto al mito della modernità per antonomasia, la velocità.

Un altro artista in mostra ad aver affrontato un tema del suo tempo è Igor Mitoraj (1944-2014), già protagonista qualche anno fa di un’esposizione in Piazza Castello e oggi presente a Palazzo Accorsi con due sculture mutilate“. «Le mie figure riflettono la situazione dell’uomo contemporaneo, le sue fratture, la sua perdita d’identità», ebbe a sostenere l’artista.
Non è un caso, infatti, che l’imponenza di Ikaro alato (2000) e di Luci di Nara pietrificata (2014) venga bilanciata, o addirittura negata, dal senso di fragilità espresso sia dall’ala caduta e dalle braccia spezzate di Icaro, sia dalla ricercata rovina che avvolge la grande maschera bronzea realizzata sei anni fa. Per dirla con le parole dell’artista, queste opere esprimono una spaesante dicotomia: «Magnifica perfezione mista a corrotta imperfezione».

Nella mostra compaiono poi altri personaggi del mito: dello scultore Ivan Theimer (1944), infatti, possiamo ammirare il disco bronzeo intitolato Medusa (2005) e la minuta scultura dedicata a Tobiolo (1999). Questi è una giovane figura biblica che rappresenta la curiosità e l’incoscienza proprie della giovinezza. I suoi piedi di bambino poggiano su due tartarughe, antico simbolo di forza ed eternità inserito da Theimer in molte sue opere, come testimonia anche la vicina opera Tartaruga con montagna (2004).

Veniamo a Sole deposto, realizzato in bronzo nel 1982 da Giò Pomodoro (1930-2002). Come ogni altra stella, anche il nostro astro compie un movimento rotatorio e qui, grazie alla “deposizione” operata dall’artista, è possibile ammirarlo come fosse un corpo sezionato in un movimento in slow motion. L’energia, solitamente invisibile, si manifesta ai nostri occhi lasciando la sua impronta nella materia, sviluppando un tema già affrontato da Pomodoro nell’altra sua opera esposta, Tensione verticale (1963-1964).

Concludiamo con due sculture realizzate in materiali alternativi rispetto al bronzo fin qui dominante. La prima è Asteroide (2017), una maestoso lavoro in acciaio di Riccardo Cordero (1942) che, come quello di Pomodoro, dà l’impressione di muoversi in tondo. Inoltre, grazie alla collocazione centrale dell’opera rispetto al cortile, il visitatore può girarci intorno quasi danzandoci insieme.
L’opera che chiude la mostra si intitola invece Cavalcata interrotta (1990), un’enigmatica terracotta con cui Paolo Borghi (1942) gioca con i concetti di apparenza e realtà, presentandoci un centauro oppure un cavaliere a seconda del punto di vista da cui guardiamo l’opera.

 

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Categorie: Cultura

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