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13 Ottobre 2020

Educadora, educare alle possibilità

Abbiamo intervistato il presidente della onlus che organizza il doposcuola e attività ricreative per ragazzi nel contesto della Casa del quartiere di Aurora

Aurora Saldi

Ragazzi in aula per il doposcuola - Educadora

Il doposcuola di Educadora al Cecchi Point

Il Cecchi Point ha un’anima ibrida, a metà tra un centro di protagonismo giovanile e una Casa del quartiere. Qui opera l’associazione Educadora, che con i suoi progetti educativi lavora a stretto contatto con gli abitanti di Aurora, come ci racconta il suo presidente Paolo Angeletti.

Come nasce e di cosa si occupa la vostra associazione?
«Educadora nasce nel 2017: siamo relativamente giovani, ma il nucleo originario della nostra associazione è il gruppo di operatori, educatori, volontari che da quasi vent’anni lavorano in Aurora, che rappresenta sia un punto di riferimento per i giovani che per tutti gli abitanti della zona. Il nostro principale target educativo sono i bambini, i ragazzi e i giovani in difficoltà. L’idea alla base è creare un centro in cui convergano tutte le figure che ruotano intorno al minore, costruendo così una reale comunità educante. Per far sì che l’intervento educativo sia potenziato a 360 gradi, lavoriamo quindi con i genitori, gli insegnanti, i servizi sociali, gli amici dei ragazzi e le altre associazioni, ad esempio quelle sportive».

Il vostro motto è “Educare alle possibilità”: puoi spiegarci cosa vuol dire?
«Intanto abbiamo scelto il verbo “educare”, che è diverso da “insegnare”. È costruire un dialogo con i ragazzi. Nel dialogare con loro cerchiamo, appunto, di lavorare sulle possibilità. Spesso ci confrontiamo con giovani che avrebbero la possibilità di fare alcuni percorsi di vita, come l’università, ma nei fatti non possono perché non riescono a permetterselo economicamente o perché sono cresciuti in ambienti che non hanno fornito loro questo tipo di bagaglio educativo. Cerchiamo quindi di costruire insieme gli strumenti che mettano a loro disposizione il ventaglio più ampio possibile di scelte, aiutandoli anche a scoprire possibilità che magari non avevano considerato».

Quali sono i progetti che avete in campo?
«Cerchiamo di lavorare in un’ottica non assistenziale. In questo senso un valido esempio è costituito dal nostro doposcuola: seguiamo i ragazzi durante lo svolgimento dei compiti anche per creare uno spazio in cui entrare in relazione, un luogo sicuro e di appoggio intorno al tema della scuola. Fa parte dell’attività anche capire di volta in volta i bisogni del ragazzo: può capitare che a volte abbiano più necessità di divertirsi, giocare, sfogarsi che di fare i compiti. Per questo inoltre curiamo uno spazio di accoglienza, da interpretare un po’ come un “oratorio laico”, in cui i ragazzi possono giocare a calcetto, pallavolo, ping-pong. Anche in queste attività sono seguiti dai nostri operatori, per tenere sott’occhio le situazioni complesse e dare spunti educativi inediti attraverso il gioco. Facciamo molta attenzione alle fragilità che si presentano in un quartiere contraddistinto da una fortissima povertà educativa: spesso i genitori non hanno gli strumenti per seguire questi aspetti, perché magari lavorano fino a tardi oppure hanno difficoltà linguistiche. Tutti i nostri progetti sostengono il minore ma forniscono anche un supporto concreto alla famiglia».

Anche se lavorate principalmente al Cecchi Point, portate i vostri progetti anche in altre sedi.
«Sì, ad esempio nelle scuole del quartiere collaboriamo con Provaci ancora, Sam!, il progetto contro la dispersione scolastica. Siamo titolari di un centro diurno aggregativo, in cui lavoriamo con i servizi sociali e studiamo piani educativi specifici per i singoli ragazzi. Collaboriamo con il Dipartimento prevenzione dell’Asl in un progetto che ha come scopo il potenziamento di competenze sociali per ridurre la possibilità di dipendenze».

Dai tuoi discorsi si capisce che il rapporto con il quartiere in cui lavorate e vi muovete è centrale per voi.
«Aurora è un quartiere complesso sotto tutti i punti di vista: è percorso da tante situazioni di fragilità, ma anche da un grande fermento multiculturale, urgenza di idee, di proposte, di progetti. Ha in sé delle problematiche di incontro e scontro tra culture: la comunicazione tra gli abitanti non è sempre facile, soprattutto tra la popolazione giovane e quella anziana. Nel discorso pubblico intorno a questo quartiere, spesso compare la dialettica degrado/riqualificazione. È sicuramente vero che ogni giorno viviamo situazioni complesse, anche rischiose. Tuttavia ridurre il tutto a questo binomio è problematico, perché rischia di indicare come risposta ai problemi del quartiere la gentrification: un processo che, tra le altre cose, conduce al caro affitti, spingendo così le fasce più deboli ancora più ai margini delle città. È importante per noi inserirci a sostegno della popolazione più fragile del territorio e lavorare con essa. Grazie a questo legame con il quartiere abbiamo la possibilità di entrare nelle dinamiche locali per portare la nostra visione, in dialogo con le istituzioni che vi intervengono».

 

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