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2 Dicembre 2020

Il Covid ha fermato la ricerca umanistica

Due dottorandi e un’assegnista del Dipartimento di Studi Storici dell’Università di Torino ci raccontano le difficoltà vissute per la chiusura di biblioteche e archivi

Adele Geja

Biblioteca antica in legno su due piani - ricerca umanistica

Con biblioteche e archivi chiusi i ricercatori non possono lavorare

In tempo di pandemia la ricerca italiana vive una chiara disparità di trattamento. Infatti, mentre chi lavora nelle discipline scientifiche può accedere ai laboratori, chi opera in ambito umanistico è impossibilitato a frequentare archivi, biblioteche, collezioni e depositi museali, chiusi in tutta Italia dal 3 novembre in quanto “istituti e luoghi di cultura” afferenti al Ministero dei Beni Culturali. Questo ha causato gravi rallentamenti nel lavoro di intere categorie di studiosi, soprattutto nelle discipline storiche, per cui l’accesso diretto a depositi librari e fondi archivistici rimane fondamentale nonostante l’aumento delle risorse digitali.

Una recente petizione indirizzata al governo che ha già raccolto circa 3.000 firme chiede di riaprire al più presto queste strutture, solitamente utilizzate da un’utenza ristretta di professionisti ma che sono state equiparate sommariamente ai siti culturali di maggiore divulgazione come i musei.

L’appello, che si può ancora sottoscrivere, vede fra i promotori anche Nicola Ryssov, dottorando presso l’ateneo torinese. La sua ricerca riguarda l’aristocrazia veneta tra i secoli XI e XIII: «Ho passato l’estate a correre da un archivio all’altro tra Vicenza, Treviso, Padova e Venezia, cercando di raccogliere più materiale possibile prima della chiusura» ci racconta, sottolineando come l’accesso fosse contingentato e regolato da un sistema di prenotazioni, nel rispetto del protocollo sanitario. «Nonostante gli scarsi rischi di assembramento – aggiunge – nessuno ha riconosciuto che l’accesso agli archivi è per noi una reale necessità. Paradossalmente ora posso andare a fare shopping, ma non proseguire il mio lavoro».

Gli fa eco Jacopo Lampeggi, che ricopre il ruolo di rappresentante dei dottorandi di Studi Storici negli organi universitari. Studia la nobiltà burocrate romana del III e IV secolo d.C e si serve di testi editi, ma anche di reperti epigrafici, la cui analisi è impossibile solo tramite fotografie: «Dovrei recarmi in alcuni depositi museali ma sono chiusi e comunque avrei difficoltà a uscire dalla Toscana, dove abito» ci racconta.

La ricerca dunque procede a rilento e in mezzo a mille difficoltà, tanto che spesso i dottorandi, in accordo con il proprio tutor, hanno dovuto ridimensionare il progetto di tesi. Anche l’organizzazione di convegni, la produzione di articoli scientifici e i periodi all’estero sono aspetti annullati o rimodulati fortemente dalla situazione odierna. Tuttavia, queste problematiche avranno influenza sul lungo periodo: «Non avremo la possibilità di svolgere tesi di grande portata e il risultato finale sarà sicuramente inferiore alle aspettative – commenta infatti Jacopo – influendo negativamente sia sulla soddisfazione personale che sulle nostre carriere, in un mondo competitivo come quello accademico».

Concorda con i colleghi anche Elena Corniolo, assegnista in storia medievale che studia la figura vescovile nelle diocesi di area alpina occidentale tra i secoli X e XI. Ci racconta che al momento riesce a proseguire il suo lavoro facendo affidamento su fonti edite, su alcune risorse online e sul prestito speciale concesso a studenti e ricercatori dal sistema bibliotecario della Val d’Aosta, dove vive. Inoltre, si era portata avanti durante l’estate, anche se «l’ansia della chiusura non ha reso sereno il lavoro: la ricerca storica deve procedere gradualmente – spiega Elena – con la fretta si rischia di perdere il filo conduttore».

I disagi vissuti dagli umanisti non sono solo materiali, ma anche psicologici. L’assoluta incertezza sul futuro e la frustrazione per non poter svolgere al meglio il proprio lavoro causano grande scoramento, a cui si aggiunge l’ansia di dover rispettare gli impegni presi, in assenza di linee guida nazionali.
Per consentire la conclusione dei progetti di ricerca, l’Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca Italiani  ha proposto una proroga annuale delle borse di studio per chi frequenta il primo e il secondo anno, ma è difficile che venga approvato lo stanziamento dei fondi: «Ci rendiamo conto che le istituzioni devono ora affrontare problemi più gravi – conclude Jacopo – ma la sensazione è quella di essere l’ultima ruota del carro».

 

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Categorie: Lavoro, Università

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