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11 Dicembre 2020

L’asino di Cavour, il noir è a Torino

Nel romanzo di Salvatore Savoia l’ispettore bancario palermitano Pietro Messina si ritrova coinvolto in misteriose vicende cittadine, tra nostalgia del passato e misteri legati all’ultima guerra

Gabriele Costa

Copertina libro L'asino di Cavour

L’asino di Cavour si svolge nella Torino degli anni ’90

J asu d’Cavour je gnün ca i lauda, as laudu da lur (gli asini di Cavour non c’è nessuno che li loda, si lodano da soli). Così dicevano i piemontesi ai presuntuosi convinti di essere sempre dalla parte della ragione.
Pietro Messina, protagonista dei gialli di Salvatore Savoia (che di sabaudo ha solo il cognome), è un ispettore bancario né presuntuoso né eroe, che vorrebbe solamente ritagliarsi uno sprazzo di quotidianità fra i casi in cui viene suo malgrado coinvolto. Nel nuovo lavoro dello scrittore palermitano L’Asino di Cavour (edizione Torri del Vento) si ritrova tra le mani un caso di omicidio che lo costringe a intrufolarsi nella Torino degli anni Novanta. Una città che non ama esibirsi e aprirsi, tantomeno ai forestieri, sfondo di una storia che va a intrecciarsi con un mondo bancario pieno di nostalgie e misteri e con le vicende dell’ultima guerra.
Abbiamo intervistato l’autore, direttore del Museo del Risorgimento di Palermo, che ci racconta com’è nata l’idea del romanzo.

Ci parli di Pietro Messina…
«È l’uomo qualunque, abbastanza noioso e schiavo delle sue piccole abitudini. Ha pochi amici, rare avventure sentimentali e una passione per le vecchie auto anni Sessanta. Come ispettore bancario controlla la corretta esecuzione del lavoro scoprendo eventuali truffe. Pietro è un uomo fuori dal tempo, nipote dell’Ottocento, e si trova spesso a giocare con i sogni delle generazioni precedenti, senza però essere necessariamente un conservatore. Spesso viaggia per controlli di routine, o viene chiamato quando c’è sentore di magagne. È dunque suo malgrado un viaggiatore e gli spostamenti lo inducono alla memoria, ai viaggi in macchina della sua infanzia, in compagnia della famiglia e in giro per l’Italia. Un paese che non c’è più, tra vecchi alberghi e le Fiat di una volta».

Come nasce la scelta di ambientare i romanzi di Pietro Messina nel mondo delle banche?
«Ho alle spalle quasi trent’anni di vita bancaria, quindi queste cose lasciano traccia. Ogni artista attinge dal proprio serbatoio personale, l’abilità è quella di non tirare fuori stereotipi e macchiette. Tomasi di Lampedusa (della cui vita Savoia ha scritto nel libro Il principe di Lampedusa, ndr) diceva che raccontare la tua storia dovrebbe essere un dovere civico. La tua testimonianza, il tuo racconto è unico: io avevo bisogno di questo tipo di narrazione, sentivo la necessità di liberarmi di questa esperienza. È un mondo che se ne sta andando, disumanizzato. Ho cercato di tirare fuori un’umanità sconfitta e sconosciuta dal travet torinese. Il giallo è un piccolo pretesto per andare a fondo, cercare di studiare cosa c’era dietro questi uomini, le loro avventure, il dolore delle vite sprecate, gli amori, le invidie e le frustrazioni… Tutto si svolge in una stanza nel giro di trent’anni».

Perché Torino e perché gli anni Novanta?
«È una città che ho sempre amato, legata alla storia risorgimentale. La città è il perfetto scenario per un noir e i giallisti lo sanno molto bene. La scelta di ambientarlo negli anni Novanta è stata fatta non solo perché volevo essere coerente con l’ambientazione degli altri libri, ma perché quello era il periodo in cui le banche stavano cercando di risollevarsi dalla crisi. È un mondo che oggi se ne sta andando, disumanizzato».

Pietro Messina è un palermitano a Torino.
«Torino è l’antitesi di Palermo, come il bianco e il nero: città meravigliosa ma che può essere anche troppo efficiente e noiosa. L’immigrazione nel romanzo è un tema molto importante: negli anni Sessanta per chi partiva da Palermo o Messina, Torino rappresentava l’America, si viaggiava verso l’avventura lasciandosi genitori in lacrime alle spalle. La città era ostile nei confronti degli immigrati ed era difficile essere accettati. La città è stata capitale dello Stato prima e in seguito fulcro economico del paese con la Fiat, ma era destinata a essere una capitale spodestata. L’ambientazione ideale per il mio romanzo».

 

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Categorie: Cultura

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