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22 Dicembre 2020

Il Natale piemontese: riti e tradizioni di ieri e di oggi

Tra falò pagani e commedie sacre in dialetto, abbiamo raccolto per voi alcune usanze tramandate da secoli nella nostra regione

Fabio Gusella

Grande falò notturno con persone intorno - Natale piemontese

In Piemonte durante le feste sono molti i falò propiziatori

Oggi siamo abituati a pensare il 25 dicembre con le fattezze di quel barbuto lappone vestito di rosso che trasporta regali sulla sua slitta trainata da renne. Ma in Piemonte le tradizioni natalizie precedenti all’egemonia di Babbo Natale sono moltissime e talune resistono tuttora. Vediamone due esempi: il falò dell’Abbondanza e Il Gelindo.

Il FUOCO DELL’ABBONDANZA
In concomitanza con il solstizio d’inverno, nella nostra regione si bruciano diversi fuochi propiziatori: il più celebre è il “falò dla Bundansia”, il falò dell’Abbondanza acceso la sera della Vigilia di Natale nella frazione di Rongio Superiore di Masserano, nel biellese. L’esistenza di questa tradizione è testimoniata fin dal Seicento ma l’usanza è ben più antica, esportata in tutta Europa dai legionari romani, convinti che i fuochi riavvicinassero il Sole alla Terra dopo il giorno più buio dell’anno e convincessero gli dei a concedere una stagione di raccolti abbondanti.
A Rongio i preparativi cominciano già a fine ottobre, quando felci aquiline vengono raccolte in fasci detti “fasinet”, lasciati poi seccare fino alla Vigilia. La mattina del 24 dicembre sul sagrato della chiesa viene issato un albero di ontano, su cui si aggiungono le felci ormai secche. Da un bosco vicino i bambini del paese raccolgono poi cortecce di ciliegio, con cui realizzano delle specie di torce dette “paiarö”, che verranno successivamente imbevute di petrolio per accendere il grande falò dopo la messa serale. Come spesso accade, esso porta con sé un messaggio: se il vento piega le scintille (le “faluspe”) verso est, si preannuncia un anno abbondante, mentre se le fa cadere verso ovest si prevedono sventure. In base allo scorso falò, il 2020 avrebbe dovuto essere un anno lieto e positivo… Anche i falò possano sbagliare.

GELINDO, UN PIEMONTESE A BETLEMME
Oltre ai fuochi, esiste una tradizione natalizia forse meno conosciuta ma ancora molto sentita: quella dei “pastour”, i pastori. Con questo termine si intendono le rappresentazioni popolari, i presepi viventi (e parlanti) che per secoli hanno inscenato l’adorazione di Gesù Bambino.
Fra questi spicca senz’altro Il Gelindo, un testo teatrale in dialetto piemontese che mescola il sacro e il comico: è la cosiddetta Divota Cumedia. Risalente a un unico copione secentesco poi declinato in diverse versioni e portato nei teatri, nelle parrocchie e persino nelle stalle del Piemonte, viene tuttoggi messo in scena prima di Natale nel Monferrato, nell’alessandrino, in alcuni paesi delle Langhe e nella stessa Torino.
Il suo protagonista è appunto Gelindo, il pastore con l’agnello sulle spalle che oggi troviamo nei presepi. Costretto ad abbandonare la propria casa nel Monferrato, comincia a vagare finché non capita dalle parti di Betlemme: il caso vuole che sia il giorno della nascita di Gesù e che incontri nientemeno che Giuseppe e Maria, da lui salutati come due compaesani qualunque. Stando al racconto, sarebbe dunque un piemontese la prima persona ad aver assistito alla Natività. Secondo altre versioni, Gelindo è addirittura il proprietario della capanna che ospita la Sacra Famiglia e fa perciò da cicerone ai pellegrini in visita alla culla. La sua figura, quindi, ha costituito un punto di raccordo fra la cultura popolare subalpina e i racconti del Vangelo.
Nel tempo la sua storia è diventata anche un modo di dire: in molte nostre campagne, infatti, “A ven Gelindo” significa che sta arrivando il Natale.

 

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