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12 Gennaio 2021

Vita di un giovane orologiaio

Daniele Tenderini, 26 anni, ci racconta come abbia trasformato la sua passione per la meccanica in un lavoro affascinante intriso di storia e bellezza

Fabio Gusella

 

Foto in bianco e nero orologiaio Daniele Tenderini al lavoro

Daniele Tenderini al lavoro

In questi mesi di lockdown, il tempo sembra essersi fermato. Stregati dalla natura misteriosa delle lancette, abbiamo intervistato l’orologiaio Daniele Tenderini, 26enne torinese che cinque anni fa ha inaugurato il suo negozio di riparazioni.

GLI INIZI: LA SCUOLA
«La mia passione è nata quasi per caso», ci racconta Daniele, che pur essendo fin da bambino affascinato dalla meccanica si sarebbe innamorato degli orologi soltanto qualche anno più tardi. È il 2013, ha appena terminato gli studi superiori di perito chimico e, per pura curiosità, si iscrive a un corso di 100 ore presso la Scuola Professionale Orologiai di Torino.
Qui per la prima volta mette mano ai meccanismi interni degli orologi: «Il corso è stato sicuramente un ottimo punto di partenza: prima di allora – ricorda – avevo aggiustato qualche cucù, ma mi servivano basi più solide per crescere». Così durante le ore di lezione impara a smontare e rimontare sveglie, pendole, orologi da tasca e da polso, oltre a lucidare e ripristinare i singoli componenti.

LA CRESCITA: I MAESTRI
Le lancette cominciano a girare: con il diploma sotto il braccio Daniele inizia a riparare per conto suo alcuni orologi, soprattutto pendole, per poi provare a rivenderli a vari mercatini dell’usato.
In uno di essi incontra l’ex vicepresidente della Scuola Giuseppe Aino, che per il giovane «è tuttora un maestro» da cui continua a imparare. Insieme a lui, Daniele entra in contatto con diversi restauratori e colleghi, che gli svelano segreti e trucchi del mestiere: «Ho imparato moltissimo da Giuseppe Pugno – ci racconta – che mi ha accolto nel retro della sua bottega riparandomi gratuitamente diversi orologi, e tanto ho appreso anche da Claudio Pettazzi, specializzato in pendole antiche».
Un altro dei suoi maestri, oggi scomparso, gli ha lasciato in eredità tutta la sua fornitura, inclusi ricambi introvabili acquistati negli anni ’60 e ’70.

LA SFIDA: IL NEGOZIO
Fermiamo le lancette al 2015, quando Daniele abbandona università e conservatorio e a soli 21 anni inaugura il suo negozio. Soprattutto per un giovane, un’attività commerciale presenta sicuramente diverse difficoltà: «Non è facile gestire tutto – ci spiega – fra tasse, scadenze, clienti, oltretutto essendo da solo».
Uno degli svantaggi per chi inizia presto a lavorare è che «ci si ritrova sfasati con gli orari e le priorità dei propri coetanei». Una fatica, però, compensata da alcuni vantaggi: «Vedendo molti miei amici che purtroppo faticano a trovare lavoro, mi ritengo ancora più fortunato – ci dice – se penso che il mio mestiere coincide con la mia passione».
Inoltre, presso la sua bottega Daniele segue da qualche tempo un apprendista: «Un giorno magari potrà aiutarmi, chissà!».

IL TESORO DEL MUSEO
Poco dopo aver aperto il negozio, Daniele inizia a lavorare con il Museo Accorsi-Ometto di Torino per revisionare i magnifici orologi delle sue collezioni. Su circa 20 oggetti, ne rimette in funzione ben 12: «Un giorno – ricorda commosso – il presidente Giulio Ometto mi affidò il restauro di un bellissimo esemplare del ‘700 in bronzo e ceramica. Da allora è nata una collaborazione proseguita fino alla sua morte, nel 2019. Ne sono tuttora onorato e orgoglioso».
Qualche tempo dopo, Tenderini propone lo stesso percorso di restauri a Palazzo Reale, ma per mancanza di fondi il progetto salta. Ci dà poi una notizia sconfortante: «Nelle residenze sabaude ci sono circa 220 orologi antichi e sono tutti fermi!».

STORIA E BELLEZZA
«Uno degli aspetti che più mi affascinano del mio lavoro – ci racconta – è il rapporto privilegiato col tempo, perché riesci a imbrigliarlo in un meccanismo e lo senti scorrere, tic-tac dopo tic-tac». Nonostante oggi esistano precisissimi orologi atomici o satellitari, Daniele non ha dubbi: «Rispetto a un circuito stampato in serie, sceglierei un orologio meccanico per la sua bellezza, per la cura dei dettagli e per la tradizione che ha alle spalle».
L’aspetto che più lo emoziona del suo mestiere, conclude, è il fatto di trovare sugli esemplari antichi, soprattutto sulle pendole, la firma di un “collega” d’altri tempi: «Aggiungere il mio nome al suo non ha prezzo. Sono oggetti carichi di storia».

 

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Categorie: Lavoro

Commenti (1)

  1. Roberto Dottorini ha detto:

    Quando si sentono storie come questa si ha la certezza che i giovani sapranno aiutarci a superare il momento attuale perché ci dimostrano che quando si è determinati si superano anche gli ostacoli più impegnativi.

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