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23 Maggio 2013

Il folk di L’Orage questa sera all’Hiroshima

Alberto Visconti, leader del gruppo rivelazione valdostano, racconta la loro avventura in vista del concerto gratuito di stasera sul palco di via Bossoli

Matteo Fontanone

I valdostani L'Orage

I valdostani L’Orage, in concerto stasera all’Hiroshima

Questa sera all’Hiroshima Mon Amour avrà luogo una festa in piena regola. Si tratta della celebrazione di un gruppo, L’Orage, decisamente particolare. In un mercato come il nostro, rivolto alla ricerca del suono facile e immediato, questi sette ragazzi valdostani a rigor di logica avrebbero dovuto faticare eccome. E invece, all’indomani dell’uscita del loro terzo album, “L’Età dell’Oro“, raccolgono il consenso di un pubblico vasto e fidelizzato, a dimostrazione che esistono ancora casi in cui la qualità paga. A fare il punto della situazione e a raccontare la sua band è Alberto Visconti, che de L’Orage è la voce.

Siete una nuova realtà folk che tanto sta facendo parlare di sé: puoi definire in due parole la vostra musica?
«Una definizione che spesso danno del nostro suono è quella di “rock della montagna”, che ormai abbiamo accettato di buon grado e che anzi, trovo particolarmente azzeccata. Il nostro gruppo è composto da una base di sette musicisti, per un totale di ben diciotto strumenti sul palco. Siamo eterogenei e in sostanza ci piace divertirci e divertire, ognuno di noi porta agli altri il suo personalissimo bagaglio. Io provengo dal mondo del cantautorato e dò il mio contributo in quest’ottica. La sezione percussioni ad esempio è animata da un’indole più hard rock, mentre i fratelli Boniface, eccezionali polistrumentisti, garantiscono l’attitudine folk che ci contraddistingue».

Il vostro cammino insieme inizia nel 2009 e ora il nuovo album è prodotto dalla Sony: avete di che essere soddisfatti.
«Sì e ci tengo a sottolineare che siamo un’ottima risposta a chi dice che per andare avanti in questo mondo ci si debba vendere o si debba scendere a compromessi. Noi abbiamo sempre fatto la musica che ci piace, non siamo mai stati condizionati e non abbiamo mai suonato per vendere. Il nostro studio di registrazione è isolato tra le valli montane, la musica per noi è innanzitutto stare insieme e non la svenderemmo mai. Il pubblico credo ci apprezzi perché non vendiamo fuffa, siamo dei musicisti: non ci sono trucchi o espedienti da studio d’incisione, il nostro approccio è diretto e schietto, senza fronzoli. Io stesso quando mi metto dalla parte del pubblico sono stufo di sentire musica basata sullo show business o sulla moda del momento. La nostra forza è questa, abbiamo creato uno zoccolo duro di persone che ci seguono e sanno che i nostri concerti sono una gran bella festa».

Com’è lavorare con una major discografica?
«Per quanto riguarda l’aspetto artistico del nostro lavoro siamo rimasti totalmente indipendenti. La Sony non ha messo becco nelle nostre sessioni in studio, ma ci ha dato una mano con l’aspetto burocratico della produzione e soprattutto ha messo in piedi un sistema promozionale che ci saremmo sognati. Senza contare che noi interagiamo con Sony Classica, interlocutori molto colti e piacevoli, sentiamo il loro apprezzamento verso la nostra musica e andiamo molto d’accordo».

All’interno de L’Età dell’Oro fa la sua comparsa addirittura Francesco De Gregori: com’è stato lavorare con lui?
«Quello con De Gregori è stato un feeling immediato: gli siamo piaciuti e ha accettato di collaborare con noi, cosa che ci ha assolutamente sconvolto. In studio abbiamo riarrangiato e rivisto dodici suoi pezzi, che lui ha poi cantato insieme a noi in una data molto importante in Valle d’Aosta. Come se non bastasse, ha cantato lui un pezzo nostro che è finito anche nel nuovo album e che si intitola “La Teoria del Veggente”: De Gregori di solito cantava al massimo Bob Dylan, mai degli esordienti come noi. Lavorare con lui è stato illuminante, tanto dal punto di vista umano quanto da quello professionale e musicale. Durante le prove l’ho osservato con attenzione, non ha mai sbagliato una nota: la qualità e la precisione del suo cantato è di una costanza incredibile, da uno come lui possiamo solo imparare tantissimo.

Il vostro secondo album, “Come una festa”, era incentrato sulla figura del poeta francese Rimbaud. Secondo voi che rapporto c’è oggi tra la musica e la letteratura?
«Io sono uno di quelli che pensano che il rapporto musica/letteratura sia strettissimo, da sempre. Il più naturale strumento che abbiamo è la nostra voce, per me è spontaneo cantare delle parole e così facendo unisco musica e poesia, se così si può dire. Non rimpiango l’inglese, scrivere in italiano è senz’altro più difficile ma se il tuo lavoro è ben fatto e artigianale, il prodotto che esce forse è ancora migliore. Per me è stato meraviglioso scrivere su Rimbaud: la sua poesia è come la nostra musica, pirotecnica e avanguardistica ma con un amore sconfinato verso la natura. Per me è il poeta più grande in assoluto, costruire un disco su di lui è stato un qualcosa di estremamente gratificante».

Nonostante le condizioni dettate dal commercio e l’abbassamento della qualità musicale, credi che il folk possa continuare a resistere?
«Non solo: ritengo che l’uscita del nostro disco sia una piccola parte dell’inversione di tendenza che si respira. Riscoperta della musica acustica, rifiorire di piccoli festival autofinanziati. Europa e America del Sud sono al centro di questa riconversione, è un qualcosa che sta succedendo senza proclami o grandi annunci ma che non si può non vedere. Ci sono tanti ragazzi che girano l’Europa per festival di musica acustica, la loro è stata un’evoluzione apolitica e aggregativa che ha a che fare con l’amore della natura e con la riscoperta del territorio. Malgrado qualcuno continui a volerci convincere che il centro commerciale sia la più grande invenzione mai pensata dall’uomo, ormai sappiamo che la realtà non è questa. Parallelamente al folk stiamo assistendo a una profonda riscoperta delle proprie radici: avere un piede nelle proprie tradizioni significa avere più armi musicali e linguistiche, hai più repertorio e questa è una ricchezza. A differenza di quelli della musica commerciale, i topos della canzone popolare sono nutriti e secolari: si è salvato solo ciò che divertiva la gente, alcune tradizioni musicali durano da centinaia di anni».

Link utili:
Pagina Facebook de L’Orage

 

Vi piace la musica folk? Come interpretare il grande successo avuto in questo senso da l’Orage?

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Categorie: Musica

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