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15 Maggio 2015

#SalTo15, il benvenuto di Claudio Magris alla Germania

L’intellettuale ieri in Sala Gialla per una lectio magistralis sulla cultura tedesca

Matteo Fontanone

Claudio Magris ha tenuto una lectio magistralis sulla Germania

Dopo la presenza mattutina del Presidente Mattarella, a inaugurare idealmente l’edizione 2015 del Salone del Libro ci pensa Claudio Magris. All’intellettuale, scrittore e germanista, che ormai al Lingotto è di casa, spetta il compito non facile di attraversare in lungo e in largo la cultura tedesca, in una lectio magistralis fiume che dura un’ora e riscuote gli applausi della Sala Gialla.

LA DISSIMMETRIA DI CONOSCENZA
La lezione, in realtà, è più una chiacchierata tra autore e pubblico: Magris, da sempre studioso della Germania, racconta aneddoti che lo riguardano in prima persona, sfata luoghi comuni e ricorre a un repertorio di citazioni colte in grado di illuminare il filo rosso del discorso.
Partendo dalla constatazione che «la cultura tedesca ha avuto un grande ruolo nel mondo per almeno un secolo, ma ora sta avendo un momento di crisi», Magris arriva subito al cuore della sua esposizione, la “dissimmetria di conoscenza”. Ovvero che, «mentre loro conoscono molto bene l’Italia e le sue tradizioni, noi non possiamo dire altrettanto. La Germania è vicina ma poco conosciuta per abitudini, geografia e lingua: è un mondo che ci è piuttosto estraneo».
Tendenza piuttosto fisiologica dato che, secondo Magris, anche tra i germanisti italiani c’è spesso una riserva nei confronti della cultura tedesca; non solo: pure l’intellighenzia tedesca parla male della propria cultura.

ITALIA-GERMANIA TRA CROCE E LUKACS
La riflessione di Magris, da qui in poi, è incentrata sul rapporto tra noi e loro, giudicato da sempre «teso, eccitato, viscerale». Un rapporto che ha sempre visto la Germania ricoprire una posizione di predominio: «Indubbiamente, per quasi due secoli, la cultura politico-filosofica tedesca è stata da traino per quella italiana ed europea». Si arriva così a Benedetto Croce, che già nel ’39 invitava a distinguere la vera Germania dalla sua degenerazione hitleriana. È proprio l’hegelismo crociano a fare la fortuna della cultura tedesca in Italia, con un approccio al mondo che passa non dalla logica ma dalla dialettica.
«Quest’ottica così dialettica tuttavia genera ansia, una certa angoscia e disincanto del mondo». È qui che ha origine la riscoperta del negativo (Nietzsche) e dell’ordine, con Marx. Quest’ultimo, si sa, ha avuto un ruolo di egemonia assoluta nelle élite culturali del dopoguerra: «In Italia, Marx ci è sempre piaciuto leggerlo attraverso Lukacs, che lotta per eliminare dalla società le contraddizioni borghesi, ma a modo suo». Il buio, infatti, torna sempre: «La critica della ragione di Lukacs è grande perché lì dentro c’è la terribile intuizione che forse Nietzsche possa avere la meglio su Marx».
Solo più tardi, in Italia, arriva il circolo di Budapest, il Lukacs più giovane e quella che Magris definisce splendidamente «l’emancipazione della dissonanza». Meno politica, più esistenzialismo: «Siamo nel pieno della cultura del negativo, nessuno crede più alle soluzioni né ha speranza di conciliare le dialettiche. L’unica pretesa, è la ricerca di una vita autentica».

L’UOMO, LA MASSA, IL MONDO
Così, dopo l’immersione nella storia della cultura tedesca, Magris tira le fila e offre qualche spunto di riflessione al suo pubblico: «L’individuo può ancora inserirsi nella società, diventandone un membro attivo e produttivo, senza amputarsi dei propri desideri, sogni, esigenze? O deve rinunciare a sé stesso per diventare un’efficiente rotellina dell’ingranaggio?». È la grande domanda del romanzo di formazione di matrice tedesca: Novalis, romantico, risponde con la poesia del cuore; Goethe non vede speranze se non l’inginocchiarsi alle forche caudine della società.
Passando per l’astuzia brechtiana, si arriva a fine anni ’60: il marxismo va in crisi e contemporaneamente emerge il pensiero negativo della Scuola di Francoforte. «Quando Adorno dice “non c’è vita vera nella falsa”, porta avanti con forza le grandi domande sul rapporto tra verità e falsità nell’esistenza, la critica alla democrazia di massa». Su questa scia, Magris ha ancora tempo per un’ultima chiosa, di grande effetto: «Il superuomo di Nietzsche, per sua stessa ammissione, è l’uomo del sottosuolo di Dostoevskij. Citando Vittorio Strada, il futuro del mondo dipende da quale visione preferiremo tra le due. Entrambi vedono il nichilismo come verità della loro epoca: per Dostoevskij, però, è una malattia da cui guarire, mentre per Nietzsche una liberazione da festeggiare».

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