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19 Maggio 2015

#SalTo15: un caffè, due libri e i robot

Sabato pomeriggio al Salone del Libro si è parlato delle meraviglie tecnologiche dell’Italia, in particolare nell’ambito della robotica

Andrea Di Salvo

Riccardo Oldani e Roberto Cingolani

Nel tardo pomeriggio di sabato, il Caffè letterario del Salone del Libro accoglie due ospiti per parlare di alcune delle meraviglie tecnologiche italiane, molto spesso sconosciute al pubblico. I due, Riccardo Oldani, giornalista, e Roberto Cingolani, Direttore Scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT – di cui abbiamo già parlato), sono anche scrittori e dai loro ultimi libri, rispettivamente Spaghetti Robot e Il mondo è piccolo come un’arancia, partono per introdurre il tema dell’incontro.

CIRCONDATI DA NANOTECNOLOGIE
«I miei figli – inizia Cingolani – mi fanno delle domande che vanno da come funziona il telefonino  a perché l’automobile oggi fa 25 km al litro e la stessa macchina 10 anni fa ne faceva 17 e mi sono reso conto che la risposta tipica che davo da tecnico aveva sempre a che fare con atomi e molecole. A un certo punto mi sono accorto che alla base di tutto c’è la meccanica quantistica, assolutamente controintuitiva e difficilissima da spiegare senza matematica». I ragazzi di oggi, prosegue Cingolani, sono circondati da oggetti alla nanoscala, ma non hanno la più pallida idea di come funzionino, anche se li usano tutti i giorni. Si rivolge quindi al pubblico, dicendo che siamo pieni di nanotecnologie, dai polsi degli orologi ai tessuti. Il suo libro nasce proprio da questa banale ignoranza sul quotidiano che cerca di colmare in via divulgativa con il proprio volume.
Riccardo Oldani invece inizia descrivendo la sua entrata nel primo dei tanti laboratori che ha visitato: si trovava a Genova, ora assorbito proprio dall’IIT. Racconta dei primi embrioni di un robot oggi molto popolare, iCub. Se non lo avete presente, quando guardate la televisione, aspettate la pubblicità della Tim con Pif. Ecco, è il robot accanto. Dieci anni fa quel robot non era altro che un abbozzo del braccio e della mano, oltre alla maschera del viso. Oggi quello stesso robot è usato in almeno trenta università del mondo come piattaforma di ricerca per capire come programmare i robot e soprattutto come farli apprendere e come l’uomo deve interagire con essi.

QUESTIONE DI POTENZA
Ma quanta fatica richiede insegnare a una macchina una cosa, qualsiasi cosa, che per noi è banale? Per avere un paragone, Cingolani spiega al pubblico che un cervello umano, durante la veglia, compie in media un miliardo di miliardi di operazioni al secondo. Lo stesso numero di operazioni eseguito da un computer richiede un consumo di circa 35 MW (ovvero 35 milioni di Watt), quanto una piccola cittadina. Il nostro cervello fa lo stesso lavoro con 40 W. Una delle grandi sfide per mettere insieme robotica e nanotecnologie, dunque, è creare strutture atomiche o molecolari che vadano verso un sistema non più basato su transistor che si parlano su un piano, ma su neuroni che parlano nello spazio tridimensionale, proprio come nel nostro cervello. Per fare tutto questo, il Direttore Scientifico dell’IIT prevede ancora 50 anni di ricerche e progressi.
Oldani sostiene questo punto cruciale, ricordando che quando andava nei laboratori di robotica vedeva immagini di macchine perfette, autonome. Nella realtà, invece, questi robot erano collegati a dei computer esterni, perché la capacità computazionale, un decennio fa, era impossibile da compattare in maniera da farla stare all’interno del corpo robotico. Stesso discorso per la fonte energetica. Le cose ora sono diverse: l’intelligenza di iCub sta in sette/otto schede delle dimensioni inferiori a quelle di un libro. Cingolani incalza dunque il discorso con una nuova sfida: rendere le macchine autonome dal punto di vista decisionale, ma anche energetico: «Negli ultimi anni abbiamo assistito a una progressiva crescita delle batterie per automotive, ma ora vogliamo batterie concepite per essere leggere, funzionali a una macchina che sia intorno ai 1000 W, come un essere umano, perché la cosa da copiare è l’uomo, non l’automobile. Per fare questo, le nanotecnologie intervengono con una serie di soluzioni, come ad esempio il grafene. Un km quadrato di grafene pesa solo 4 grammi ed è 300 volte più resistente dell’acciaio alla trazione, oltre a essere biocompatibile, conduttivo e trasparente: si presta dunque a rimpiazzare i metalli».
Cingolani continua con un ardito paragone fra batterie e fegato: «Noi prendiamo i nostri 1000 W dal fegato. Anche la lavatrice e il frigorifero sono macchine da 1000 W, ma non hanno fegato. Immaginatevi uno scenario in cui, tra vent’anni, prenderete l’immondizia organica dalla cucina e la butterete in un sistema che scinderà le fibre, i grassi e gli zuccheri di questi scarti vegetali e produrrà come il vostro fegato quelle centinaia di watt che servono a noi, o alla lavatrice. Questo è un pensiero laterale, un modo diverso di pensare perché si tratta di copiare soluzioni che già funzionano per macchine, noi, che hanno la stessa potenza ».

CONFINI, OPPORTUNITÀ E SALUTE ALLE NANOSCALE
I confini tra biologico e tecnologie sviluppate dall’essere umano si fanno quindi sempre più sottili. La velocità di propagazione di un’informazione a livello globale è paragonabile a quella data dagli scambi biologici all’interno del nostro cervello. Questo è contemporaneamente sia un bene che un male: il nostro cervello non è progettato per adeguarsi a questa velocità di scambio dei dati, ma può concentrarsi sull’elaborazione di strategie e dati. È ancora Cingolani a immaginare un futuro, in realtà non troppo lontano, di circuiti con velocità di trasmissione elevatissime e con potenze dell’ordine dei mW (ovvero millesimi di Watt): circuiti in grado di essere integrati all’interno del cervello o tatuati sulla pelle e che possono connetterci rapidamente a un cloud globale, un deposito universale della conoscenza che ci permetta di focalizzarci sul pensare più che sul ricordare i dati.
Questo potenziamento non riguarda solamente la connessione mentale, ma anche quella fisica. Oldani parla dello sviluppo di un esoscheletro, battezzato Body Extender, in grado di far acquisire a chi lo indossa una forza sovrumana, con sollevamento di pesi fino a 100 kg. È stato pensato per interventi di emergenza: si pensi al delicato recupero delle vittime di un terremoto. Un’altra linea invece è ideata per il campo terapeutico o a sostegno dell’ambito lavorativo per quegli impieghi particolarmente usuranti.
I problemi etici paiono dietro l’angolo, ma la tecnologia in sé è neutra: «Se io uso un cuscino per soffocare una persona o l’11 settembre 2001 uso un aereo civile per fare una strage, questo non vuol dire che il Boeing 737 o il cuscino siano delle tecnologie con delle implicazioni etiche importanti. Questo vuol dire solo che l’uomo è un imbecille e che qualunque cosa usata da un imbecille diventa un’arma. Quindi purtroppo l’imbecillità è un problema che non è risolto né dalla nanotecnologia né dalla robotica» ed è piuttosto difficile non essere d’accordo con Cingolani.
«La verità è che non bisogna avere paura di capire: uno deve capire senza paura di poter capire qualcosa di negativo. Perché è parte della scienza» conclude, prima di raccogliere gli applausi del pubblico.

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Categorie: Tecnologie

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