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15 Aprile 2011

Davide Ferrario: “Faccio film liberi”

Per Biennale Democrazia, un gruppo di studenti torinesi ha incontrato il regista bergamasco

Simone De Caro & Matteo Giachino

Davide Ferrario tiene per Biennale Democrazia l’incontro “Un cinema libero e indipendente”

Venerdì 15 aprile al Cinema Massimo si è svolto l’incontro “Un cinema libero e indipendente”: protagonisti dieci classi di istituti superiori della città ed il regista Davide Ferrario; la discussione è stata preceduta dalla visione del suo ultimo film, “Tutta Colpa Di Giuda”: Digi.TO ve ne presenta la recensione ed una parte dell’intervista che l’autore ha concesso ai giovani presenti.

IL FILM
Più John Lennon che Dio. Davide Ferrario preferisce esorcizzare le tenebre e invocare la protezione dall’oscurità cercando conforto nelle parole della leggenda del rock inglese, piuttosto che in quelle tramandate dal Vangelo. Risulta chiara la dimensione del regista e la sua posizione riguardo al tema religioso, non l’unico (ci sono anche riflessioni sul perdono, sull’amore, sul carcere) ma sicuramente centrale in quest’opera realizzata nel 2009.
Vero è che la protagonista del film è Irena (una sorprendente Kasia Smutniak) ma fin da subito si nota nel personaggio una chiara proiezione dell’autore. Per capirci – con le dovutissime proporzioni – si può pensare ad un’azione cinematografica di stampo felliniano, quella che prevedeva spesso la presenza dell’alter ego del maestro italiano. Irena è una regista di teatro sperimentale (quella sperimentazione che è propria di Ferrario stesso) che accetta di collaborare con don Iridio (Gianluca Gobbi) per la messa in scena, in un istituto penitenziario di Torino, di una paradossale “Passione di Cristo”. Quest’esperienza le cambierà la vita, non solo per l’incontro con il direttore del carcere (un Fabio Troiano già decisamente in ascesa dal punto di vista recitativo) ma così pure perché i detenuti, nella quasi totalità carcerati reali, si rifiutano di impersonare la figura di Giuda: nessuno vuole fare l’infame, neanche per finzione. Da qui l’illuminazione di Irena: perché non pensare ad una rappresentazione della Passione con un lieto fine? Deve necessariamente prevedere tradimento, condanna e morte?
Accompagnati dalla colonna sonora firmata dai Marlene Kuntz e di altri artisti di rilevo della scena torinese e non, dallo stupendo cameo di Luciana Littizzetto (una suor Bonaria decisamente contraria al progetto teatrale) e da uno stile di ripresa eterogeneo con un’inquadratura obliqua che per quasi tutto il film “fatica a raddrizzarsi” , giungeremo alle risposte dei quesiti proposti da Ferrario. Un autore che ama «dare punti di vista, l’ambiguità del cinema permette di trasmettere immagini che lo spettatore interpreta a seconda della sua sensibilità».

LE SUE PAROLE
Perché ha scelto il cinema come forma espressiva?
«In realtà quando avevo la vostra età la mia ambizione era quella di fare lo scrittore. Negli anni Settanta a Bergamo (città natale dell’autore, ndr) esisteva il cineforum. Per noi giovani questa era l’unica attrattiva in città ed ebbe anche un buon successo con 6mila iscritti. I soci storici pensarono allora di avere bisogno di giovani promettenti, così mi presentai e cominciai ad organizzar le prioezioni. Per me fu una grande scuola e mi permise anche di mantenermi durante gli studi universitari. Diciamo quindi che è il cinema che ha scelto me».

A quale suo film è più legato?
«Diciamo che sono due. Il primo è questo (“Tutta colpa di Giuda”, ndr) e l’altro è “Guardami”».

C’è qualcosa di autobiografico nel suo “Tutti giù per terra”, anche se tratto dal libro di Culicchia?
«Non c’è nulla di autobiografico, fu un produttore a propormi di fare un film dal libro dicendo che secondo lui io ero la persona giusta. Quando lessi il libro dissi “Tutto qui?”. Anche io ero stato giovane e con gli stessi problemi: incertezza, disoccupazione e precarietà. Però noi non eravamo senza speranza, come il protagonista della storia, noi ci eravamo arrabbiati, avevamo fatto casino e ci eravamo ribellati. La nostra è stata l’ultima generazione a credere di cambiare il mondo. Ci immaginavamo un futuro, un domani diverso, una cambiamento e questa era la nostra speranza e la nostra libertà. L’incertezza del futuro per noi era una possibilità di migliorare. Per i giovani oggi la vita deve essere una garanzia, noi odiavamo le garanzie e una vita prestabilita».

Ha mai dovuto mettere da parte le sue idee per esigenze finanziarie o di produzione?
«Essere un regista indipendente non significa stare su un mondo a parte, bisogna misurarsi con il mercato e con il pubblico. Ken Loach mi disse “Se prendi il tè con il diavolo usa almeno un cucchiaio lungo”. Non bisogna andare al compromesso puro e semplice ed io fino ad ora non ho mai fatto nulla che non volessi fare: questo è essere indipendenti».

E’ mai stato vittima di pregiudizi per gli argomenti trattati nei suoi film?
«Non ho mai trattato di argomenti strani nei miei film. La mia idea di regista impegnato è più vicina ai temi del sociale, i film sono troppo belli per mischiarli con la politica. A me piace dare più punti di vista ed il cinema mi piace proprio per questa sua ambiguità».

Perché ha scelto Torino come teatro di molte sue storie?
«Ho avuto la fortuna di capitare nel periodo migliore per questa città; la Torino prima 1995 era molto diversa, molto più cupa. Penso che oggi invece sia la città migliore per vivere in Italia, perché è una città che si muove. L’Italia è fatta da città provinciali e se sono molto grandi ed inserite in un contesto europeo, come Torino, si crea un binomio perfetto».

Secondo lei perché la fiction viene scambiata per documentario?
«Sempre in collegamento con “Guardami”, che natura ha l’immagine pornografica? Documenta il reale, una immagine vera, ma è anche finzione, il soggetto sta recitando. Anche nel cinema c’è sempre un pezzo di finzione di reale, ed è questa terza dimensione che rende il cinema unico.
Questa è la stessa ragione per la quale i reality e le fiction funzionano, il problema è che la tv le spaccia per realtà».

Link utili:
Biennale Democrazia

Secondo voi il cinema ed i registi possono essere davvero indipendenti?

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Categorie: Cultura

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