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21 Maggio 2012

Caccia sì o no, opinioni a confronto

Due giovani, un cacciatore e un’attivista del Comitato Referendario, spiegano le loro ragioni e parlano della consultazione ormai annullata

Giosuè pugliese

Grotte di lascaux

Le grotte di lascaux in Spagna, le prime testimonianze della caccia praticata dall’uomo

Marco è un cacciatore dichiarato, mentre Angela fa parte del Comitato Referendario sulla caccia in Piemonte. In comune hanno la giovane età ma a separarli c’è un abisso. Il referendum sulla questione venatoria era in programma il 3 giugno ma la legge regionale in materia è stata soppressa, annullando di fatto la consultazione. Il Comitato Referendario annuncia che promuoverà azioni amministrative e penali per affermare il diritto ad ascoltare la voce popolare.

Ma mettiamo Marco e Angela a confronto sull’annullamento del referendum e sulle tematiche di quelli che ne erano i quesiti.

Il referendum del 3 giugno non ci sarà più…
Marco: «Menomale, in effetti non capivo la necessità di una consultazione così costosa, circa 22 milioni di euro».
Angela: «Hanno detto che così si risparmia, ma il costo del referendum sarebbe stato un investimento e ora le destinazioni di quelle risorse non vanno incontro alle esigenze reali della società, finendo invece in parte in rimborsi ai comuni e in parte ad un progetto spaziale, non mi sembra giusto».

Cosa cambia ora con l’abolizione della legge? Pensate che le restrizioni sulle specie cacciabili siano applicabili e giuste?
M.: «A decidere è l’Ispra, l’Istituto Nazionale per la Protezione e la Ricerca Ambientale, che prevede quali e quante unità di specie debbano essere cacciate a livello nazionale. Non vedo come specie cacciabili su tutto il territorio nazionale non debbano esserlo da noi».
A.: «Attraverso l’abolizione della legge regionale si deve ora applicare quella nazionale, senza però i regolamenti specifici affidati ad ogni regione per preservare la bio-diversità tipica di ogni territorio. Così si allargano le maglie delle specie cacciabili e dei modi, alcuni sanzionati anche dalla Corte di Giustizia Europea. Si smantella un sistema a difesa della specificità autoctona e una liberalizzazione della caccia. Un’impostazione contraria allo spirito del referendum abrogato, che doveva mantenersi vivo per poter annullare la consultazione».

Cosa pensate riguardo a quelli che erano i temi referendari come il divieto di caccia domenicale, sulla neve e le aziende faunistico-venatorie?
M.: «Per quanto riguarda la caccia domenicale, posso dire che si pratica poco e non è pericolosa per l’uomo, a parte alcuni rari tipi di caccia grossa, perché ci sono regole specifiche e distanze ferree da rispettare. La caccia con la neve, io non la pratico, è troppo semplice seguire le orme fino all’animale. Le aziende venatorie poi possono avere più libertà di specie o numero cacciabili in quanto sono animali immessi nei territori dall’amministrazione pubblica. Mettere limiti di carniere non renderebbe più economica la gestione della riserva, e chi le gestisce perderebbe il lavoro».
A.: «La legge regionale prevedeva anche l’Osservatorio Regionale sulla fauna selvatica ed i Comitati regionali e provinciali di coordinamento delle politiche venatorie. Con l’abrogazione tali importanti organismi che sovrintendono la gestione della fauna selvatica nella nostra regione sono destinati a sparire, lasciando senza regolamentazione il territorio. Si volevano limitare i danni della caccia, ma si sono acuiti, lo grideremo forte nella manifestazione nazionale che il 3 giugno avrà luogo proprio a Torino»

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Categorie: Ambiente, Cultura

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