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23 Gennaio 2013

L’Italian soul di Luca Sapio

Venerdì all’Hiroshima l’artista romano presenta il suo disco d’esordio “Who knows”, premiato dalla Siae come miglior album indipendente del 2012

Federica Spagone e Francesca Palumbo

Luca Sapio

Luca Sapio, al suo esordio con il disco soul “Who knows”

Venerdì 25 gennaio all’Hiroshima Mon Amour di via Bossoli 83, “Luca Sapio and Capiozzo & Mecco Band” presenteranno il disco “Who Knows”. Registrato a New York, pubblicato dall’Ali BumaYe! Records e vincitore del premio “Miglior Album 2012 – etichette indipendenti” è l’atteso disco d’esordio del 37enne romano Luca Sapio.
Un vero incontro tra “nuovi leader della vecchia scuola” e l’unione tra il nuovo soul italiano e americano. In occasione del concerto di venerdì abbiamo incontrato proprio Luca Sapio per saperne di più.

Come ti sei avvicinato al mondo della musica e quando hai capito che sarebbe diventato il tuo lavoro?
«Ho avuto la fortuna di avere un padre collezionista di musica sudamericana e fin da bambino ho avuto la possibilità di godere di questa collezione di vinili. Ricordo ancora le copertine veramente affascinanti ed evocative che mi trasmettevano tantissima curiosità per quel mondo. Da piccolo ho iniziato a studiare pianoforte e poi canto ma ho sempre avuto una vita diciamo “parallela” laureandomi anche in Architettura. Ero inizialmente spaventato nel scegliere la musica come unica strada e dover accettare tutti i compromessi e i sacrifici che questa comportava».

Com’è stata la tua esperienza oltreoceano?
«Sono andato negli Stati uniti a 23 anni cercando di approfondire il linguaggio del soul, vivendo proprio le tradizioni e cercando di imparare l’approccio verso questo tipo di musica e il metodo di lavoro di alcuni studi di registrazione. E’ stata un’esperienza veramente molto bella, in cui ho scoperto un’America completamente diversa da come la immaginavo e Los Angeles in special modo è stata una sorpresa. Solo dopo molto tempo sono riuscito a ricollegare l’immagine che avevo di questo Paese, con quello che poi stavo vivendo ed è stato tutto molto formativo. Quando poi il mio permesso di soggiorno è scaduto ho capito che si trattava della chiusura di un ciclo, non è stato facile tornare in Italia e doversi reinventare ma ce l’ho fatta. Questo percorso mi ha dato la possibilità di tornare ultimamente negli Stati Uniti, con una consapevolezza e con una visione più chiara delle cose».

Quali son stati gli incontri più importanti?
«Sicuramente uno dei momenti più importanti per me è stato l’incontro con il fondatore degli “Area” Giulio Capiozzo, lui fu il primo a darmi una grande opportunità, quella di suonare con lui e grazie a questo la possibilità di confrontarmi con musicisti americani di grandissimo livello come Cameron Brown, Jimmy Owen e il clarinettista Tony Scott. L’incontro con Capiozzo è stato così importante perché ha avuto una duplice valenza: in quel momento ho cominciato a capire che avevo la possibilità di fare della musica una professione e poi mi ha fatto conoscere anche suo figlio che è diventato il mio partner con la “Luca Sapio and Capiozzo & Mecco Band” ed insieme abbiamo realizzato il cd “Who knows” ».

Parliamo dell’album, cosa potremo ascoltare?
«Si tratta di un disco d’esordio fatto a 37 anni e volevo che chiunque lo ascoltasse potesse cogliere un’onestà di fondo nei contenuti, nessun “occhiolino strizzato” ad una tendenza piuttosto che a un’altra, più semplicemente lo definirei come un ritratto. E’ un riassunto della mia vita, un disco autobiografico che racconta gli smarrimenti sia da un punto di vista spirituale che sociale. E’ un album che va ascoltato con pazienza tutto, perché io stesso non riesco a individuare uno o due pezzi più significativi di altri, ma spero che il pubblico possa ritrovarsi nelle storie raccontate».

Come hanno risposto critica e pubblico al tuo disco e quali differenze hai notato tra mercato discografico italiano e americano?
«II disco sta facendo molto rumore fuori dall’Italia, in Germania e in Francia. Ma in Italia ha avuto un grande consenso da parte della critica al punto da essere premiato dalla Siae come “Miglior disco dell’anno” e aggiudicandosi la targa PIMI 2012 a cura del MEI. Due premi davvero inaspettati e molto gratificanti, perché anche da parte loro è stata una scelta coraggiosa scegliere il nostro lavoro dato che il jazz e il soul non sono generi che vanno per la maggiore nel nostro paese. Trovo che il mercato italiano, a differenza di quello americano sia piuttosto confuso: un grande calderone dove non si fa distinzione tra generi musicali diversi e l’utente finale è disorientato. In America questo non avviene perché ci sono dei “commercial box” molto chiari e soprattutto anche la musica che viene prodotta va in una certa direzione, non ci sono infatti tutte le contaminazioni di genere e l’offerta risulta chiara agli occhi del consumatore».

Tra i tuoi progetti c’è quello di rimanere in Italia?
«L’Italia è il paese in cui sono nato e che amo, ho un buonissimo rapporto specialmente con Roma, la città dove sono cresciuto e per me è sempre molto difficile andare via. Ogni volta che ritorno qui mi rendo conto di quello che ho e di quanto sono fortunato. Ci saranno sicuramente altri periodi dove mi troverò a dover lavorare fuori, per esempio a breve inizierò una tournée in Germania, però io ho scelto l’Italia e rimarrò qui».

 

Link Utili:
Hiroshima Mon Amour
Il sito ufficiale di Luca Sapio

Vi piace il soul? Andrete al concerto di Luca Sapio? 

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Categorie: Musica

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