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27 Marzo 2013

“E’ la canzone che decide la musica”, parola di Marta Sui Tubi

Intervista a Giovanni Gulino, voce del gruppo siciliano, per parlare del concerto di domani sera all’Hiroshima e della recente esperienza sanremese

Matteo Fontanone

Marta Sui Tubi

I Marta Sui Tubi saranno domani sera all’Hiroshima

I Marta Sui Tubi, quintetto siciliano imperdibile per ogni cultore della musica indipendente, tornano domani sera all’Hiroshima Mon Amour dopo il fortunatissimo concerto della scorsa primavera, quando avevano fatto scalpore con l’idea di separare il pubblico dagli artisti con un sottile telo bianco su cui venivano proiettati video e immagini di tutti i tipi.
Caratterizzati dall’ironia dei testi e dalla raffinatezza musicale (nell’ambiente si dice che il chitarrista Carmelo Pipitone sia uno dei migliori d’Italia), alle volte li si può trovare immersi in un mondo onirico e ovattato, in altre occasioni prendono in contropiede e sfoderano un un cinismo disarmante ma lucido, veritiero. I Marta Sui Tubi non sono certo una novità per gli amanti della musica folk italiana, che li tengono d’occhio dall’uscita del loro primo album datato 2003, “Muscoli e dei”, mentre sono balzati agli onori della cronaca soltanto con la loro partecipazione all’ultimo Sanremo.
Apprezzati come una delle migliori live band in circolazione, i “Marta” presentano nella serata di giovedì il loro quinto lavoro, “Cinque, la luna e le spine“. Ne parla a Digi.TO il frontman del gruppo, Giovanni Gulino.

L’idea da cui nasce il disco è quella del senso di colpa? Che cosa volevate tirare fuori da voi questa volta, e a conti fatti cosa vi sembra di aver creato?
«La produzione di questo disco è stato un lavoro frenetico. Abbiamo iniziato a lavorarci l’estate scorsa scrivendo una manciata di canzoni, ma senza avere una minima idea di cosa ne avremmo fatto. Dopo aver saputo di essere stati selezionati per partecipare a Sanremo abbiamo pensato che sarebbe stata una cosa intelligente produrre un disco vero e proprio, così abbiamo iniziato a scrivere e a suonare. Notando che, pur senza volerlo, molte di queste canzoni avevano in comune tra loro l’idea del senso di colpa, abbiamo voluto assecondare i nostri spunti e utilizzare questo sentimento come filo conduttore. Ci piaceva affrontare quest’argomento, lo troviamo tutti estremamente suggestivo. Abbiamo scandagliato il nostro animo per tirare fuori le cose che ci fanno stare male, che spesso non sono tanto l’aver sofferto a causa di qualcuno, quanto piuttosto l’aver fatto male a qualcuno. Senza contare che ci ricordiamo più i sensi di colpa che le gioie: sono elementi reconditi che rimangono nel pozzo della propria anima, quello di tirarli fuori per Cinque è stato un esperimento introspettivo e siamo contenti del risultato».

Come ci si sente a raccontare ancora storie mentre il mondo della musica di oggi insegue il ritornello perfetto e la melodia orecchiabile alla caccia di fama e successo?
«E’ un qualcosa di strano, particolare. Non siamo il tipico esempio di gruppo patinato e ordinato dal punto di vista della costruzione musicale. Siamo sempre stati musicisti che hanno cercato di andare oltre alla forma della canzone tradizionale, proprio perché non ci interessa imboccare l’ascoltatore con facili soluzioni ma speriamo di stimolarlo. Rispettiamo l’ascoltatore, e seppur all’orecchio giunge una musica poco ortodossa e a tratti difficile, noi vogliamo affascinarlo. Tutti i veri appassionati di musica, se ci ascoltano con attenzione, noteranno nel nostro suono elementi che meritano almeno un pizzico di considerazione. Il successo di cui parli in realtà non è successo vero, non siamo in testa alla classifica e non siamo in televisione, anche se per fortuna molte radio ci trasmettono. Siamo felici perché questo ci permette di pensare alla nostra carriera nel lungo termine, così come dopo l’esperienza di Sanremo speriamo vivamente di essere gli apripista di una serie di musicisti straordinari che in Italia che vengono snobbati dai media. Il nostro è un esempio che speriamo venga seguito, oggi più che mai abbiamo tutti bisogno di musica intelligente».

Dieci anni di carriera sono sufficienti per tratte un primo bilancio artistico: da Muscoli e Dei a Cinque, cosa cambia nei Marta Sui Tubi?
«Ancor prima che come musicisti si cambia come persone. Nel 2003, quando abbiamo fatto uscire Muscoli e Dei, eravamo sicuramente più istintivi, impauriti, spensierati. Oggi abbiamo la consapevolezza che questo non è più un hobby ma un lavoro a tutti gli effetti, ci sentiamo di affrontare le cose in maniera più seria e critica rispetto al passato. Noi cambiamo ma nella nostra musica resta una certa continuità, le canzoni di oggi nascono esattamente come nascevano le canzoni degli esordi. Il suono deve senz’altro cambiare, sarebbe sbagliato e dannoso se così non fosse, altrimenti il rischio è quello di continuare a produrre ma far uscire sempre lo stesso disco. La bravura dell’artista sta nel non snaturarsi ma nel guardare sempre al proprio passato. Mescolare la minestra per molti anni non ci piace, i fan si affezionano a un certo suono ma è essenziale seguire anche quello che ci sentiamo in dovere di ricercare, anche perché la carriera del musicista è un percorso sì di arte ma soprattutto di vita. A volte si può non capire, a volte può non piacere, ma deve sempre essere rispettato».

E’ difficile incasellarvi in un genere preciso. Voi avete un’idea definita della vostra musica o vi sentite spiriti liberi?
«Noi non indossiamo la maglietta di nessun genere musicale, non seguiamo un filone e siamo artisticamente indipendenti. Per noi è la canzone che decide con quale tipo di musica vuole essere vestita. Componiamo essenzialmente chitarra e voce, abbiamo tre straordinari musicisti che si sono aggregati a noi nel tempo e questo ci permette di avere una notevole potenza creativa. Ci definiremmo rock ma siamo sfaccettati, ci sono tante influenze, quella che più di tutte ci ha sbattuto in faccia la sua forza è il grunge, non tanto nelle sonorità quanto nei contenuti. In un nostro pezzo ci può essere punk misto al blues, come in Tre, così come ci può essere elettronica, a volte addirittura del metal, jazz, qualsiasi cosa che pensiamo possa far bene alla canzone. Non ci mettiamo a cambiare genere musicale in modo programmatico, i generi entrano qualche secondo nelle canzoni e spariscono, per noi l’importante è che al centro ci sia sempre e solo la canzone».

Link utili:
Marta Sui Tubi
Hiroshima Mon Amour

 

Conoscevate i Marta Sui Tubi prima di Sanremo? Avete seguito la loro carriera artistica?

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Categorie: Musica

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