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11 Giugno 2013

Convenzione di Istanbul: (forse) una buona novella

La Presidente di Telefono Rosa Piemonte Lella Menzio spiega cosa cambia dopo l’adesione dell’Italia al protocollo internazionale contro la violenza sulle donne

Viviana Villani

Violenza sulle donne

La Convenzione di Istanbul stabilisce l’impegno degli stati aderenti contro la violenza sulle donne

La violenza di genere, il femminicidio, sta diventando sempre più un fenomeno allarmante. Secondo i dati del Telefono Rosa nel 2012 ci sono state 124 donne uccise, invece nel primo semestre del 2013 le vittime sono state 36. Nella maggior parte dei casi gli autori di questi delitti sono mariti, ex fidanzati, comunque persone nella cerchia affettiva delle mura domestiche.
La Camera dei Deputati ha recentemente ratificato la Convenzione di Istanbul, che condanna ogni forma di violenza sulle donne, ma per un’ulteriore riflessione abbiamo intervistato la Dottoressa Lella Menzio, presidente di Telefono Rosa Piemonte, per capire se qualcosa cambierà davvero con la Convenzione e cosa possono fare le donne che hanno bisogno di aiuto.

Seondo lei cambierà qualcosa con la Ratifica della Convenzione di Istanbul?
«Sono molto contenta della mobilitazione internazionale che ha portato alla firma della Convenzione e che vi sia stata un’approvazione plebiscitaria in sede di Parlamento italiano. Purtroppo ci sono troppi se e ma. Il primo è concreto: se la convenzione non verrà ratificata da altri stati, non se ne farà nulla. Gli aspetti specifici sono invece più importanti. Primo tra tutti, il fatto che la legislazione italiana non è totalmente in linea con la Convenzione. Quello che però preoccupa le Associazioni di genere e i centri anti-violenza sono due realtà specifiche. La violenza di genere richiede interventi integrati, su due livelli: uno sulla vittima, l’altro sui colpevoli, e di questo secondo aspetto si parla ma poi si fa davvero poco. Il secondo punto è l’integrazione tra i diversi servizi in rete, risorse sanitarie, psicologiche, sociali, di polizia e politiche nel senso più ampio del termine devono interagire efficacemente: i tentativi sono stati tanti, i risultati molto discutibili. Manca la formalizzazione e la concreta attuazione di piani di intervento che, con risorse dedicate, specializzate e competenti, sappiamo integrarsi a favore di un canale di affrancamento dalla violenza per le donne vittime e di un reale percorso di trattamento per i colpevoli. Attendere o perseguire il cambiamento culturale è un’operazione che richiederà generazioni: e forse non basterà nemmeno questo».

La ratifica della Convenzione cambia qualche aspetto nel lavoro di associazioni e Ong ?
«Il ruolo delle Associazioni, convenzione o no, è sempre stato centrale, nella lotta alla violenza di genere. Tanto che le donne accolte nelle associazioni superano di molto, come numero, quelle che invece si rivolgono ad altre strutture. Forse è per l’aspetto non vincolante, non giudicante e di assoluta libertà di cui godono le donne, di certo si tratta di un ruolo indispensabile. Purtroppo, associazioni, Onlus e Ong, che hanno una base strutturale di volontariato, non possono però fare a meno dei servizi che garantiscono e delle risorse economiche per la loro stessa vita. Le associazioni non possono diventare enti sponsorizzati e nemmeno aziende in cui le risorse vengono trovate di volta in volta, con grande fatica e spreco di tempo e anche di denaro. Occorrono politiche di sostegno, che rendano giustizia al ruolo indispensabile del volontariato, il cui termine viene troppo spesso confuso con la semplice gratuità. Non dimentichiamo poi che associazioni e simili devono dotarsi di competenze precise, certificate e adeguatamente formate. Volontariato non è improvvisazione: è invece sapiente uso delle risorse dedicati ai piani sanitari, psicologici e sociali: ma con un coerente sostegno istituzionale».

In base alla sua esperienza perché le donne non denunciano i loro aggressori?
«Ci sono stati dei momenti in cui si pensava alla paura, allo stigma, alla vergogna. Ora c’è anche una vera e propria sfiducia in molte delle azioni proposte. I tempi della giustizia, il modo in cui vengono trattate le denunce e anche la difficoltà di individuare soluzioni coerenti non solo per le donne, ma anche per i loro figli, spesso molto piccoli, sono davvero la barriera contro cui molte donne si scontrano. La denuncia è indispensabile, soprattutto per attivare forme adeguate di tutela. Però basterebbe che in fuga non fossero messe le donne, ma i loro aggressori: potendo contare sulla propria abitazione, sul contesto nel quale vivono, sulla sicurezza di tenere lontano il colpevole e di essere adeguatamente accompagnate sarebbero soluzioni anche facili, e di sicuro effetto».

Cosa possono fare le donne vittima di violenza? A chi devono rivolgersi?
«Le forze dell’ordine sono i riferimenti più immediati, nell’emergenza. Dobbiamo dare atto che nel nostro territorio Polizia, Carabinieri e Polizia Municipale hanno fatto e stanno facendo un grande sforzo per organizzare servizi dedicati. Fra tutti cito il servizio del Nucleo di Prossimità della Polizia Municipale di Torino, che svolge un lavoro delicato di indagine e di tutela della donna e dei minori eventualmente coinvolti».

Quali attività svolge invece il Telefono Rosa?
«Il Telefono Rosa, come altre associazioni, offre un’ampia opportunità di ascolto e di accoglienza. C’è il servizio di Presenza Amica, alla stazione di Torino Porta Nuova, lato binario 1, dal lunedì al venerdì dalle 20 alle 24. Poi il camper itinerante Vicino a Te, presente sul territorio provinciale e creato per intercettare e contrastare ogni fenomeno di violenza o di negazione dei diritti fondamentali delle donne. Infine vorrei ricordare che è molto importante il ruolo di Internet: lì è possibile trovare riferimenti, cercare contatti, avere dei vademecum che spiegano nel dettaglio cosa fare e a chi rivolgersi per non sentirsi sole».

 

Link utili:
Telefono Rosa Piemonte
Testo della Convenzione di Istanbul

Pensate che la convenzione di Istanbul aiuterà contro la violenza sulle donne? Quali provvedimenti si dovrebbero ancora prendere?

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Categorie: Cultura

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