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19 Giugno 2013
Ian Anderson apre il Gru Village
Grande virtuosismo ma forse poca emozione il 17 giugno al primo concerto della rassegna estiva de Le Gru
Silvia Calvi
“Non ci arrenderemo, andremo a vivere nel passato“, cantavano i Jethro Tull nel 1972, sulle note della famosissima “Living in the Past“.
Nessuno si sarebbe mai immaginato, allora, che oltre quarant’anni più tardi il 65enne Ian Anderson, carismatico leader della band, avrebbe aperto proprio con questo pezzo un concerto dedicato al meglio della produzione dello storico gruppo progressive. Il miracolo è avvenuto a Torino, nella calda serata del 17 giugno, grazie allo show “Ian Anderson plays the best of Jethro Tull“, prima data del GruVillage.
Palco sobrio, un unico cono di luce bianca e lo spettacolo è decollato. Ian entra in scena saltellando, adottando i suoi consueti atteggiamenti da menestrello medievale venduto al rock. Batteria, basso e chitarra lo seguono discreti, tutti in silenzio, mentre l’onere delle – superflue – presentazioni è subito delegato al leggendario flauto di Anderson, che in pochi minuti riesce a trasportare il pubblico nel passato.
Ci si accorge subito, dalla platea, che i Jethro Tull sono solo un ricordo accennato nelle melodie evocate dal quartetto, eppure il contatto con il pubblico è stabilito e l’atmosfera che si respira, pezzo dopo pezzo, è quella degli anni Settanta.
Ecco quindi che da “Beggar’s Farm” si passa ad un estratto di “Thick as a Brick“, in cui le tastiere giungono in soccorso là dove la stentorea voce di Ian Anderson – colpevoli gli anni – non riesce più ad arrivare. Qualche nube di fumo rosso cela per qualche secondo il palco e si attacca quindi con il sequel di “Thick as a Brick” datato 2012, in una rassegna di appendici in pieno stile prog.
Non mancano infine i cavalli di battaglia, come “Mother Goose”, “Bourée” , “Too Old to Rock ‘n’ Roll: Too Young to Die”, “My God” e “Cross-eyed Mary”, che regalano duelli tra il flauto di Anderson e i riff del chitarrista Florian Opahle.
Virtuosismi strumentali di ogni genere nei pezzi di chiusura, “Aqualung” e “Locomotive Breath“, non tradiscono infine le aspettative del pubblico, appagato da un tecnicismo impeccabile, eppure forse esigente di trasporto e atmosfera maggiori.
Link utili:
Gru Village
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