Home » Musica » Matteo Castellano, la dura vita del cantautore

2 Luglio 2013

Matteo Castellano, la dura vita del cantautore

Intervista a un originale musicista torinese che ha un album all’attivo, “Ezio”, però non disdegna di scrivere canzoni per… un produttore di piastrelle

Matteo Fontanone

“Ezio”, primo album di Matteo Castellano

Matteo Castellano, 32 anni, è dotato di un indiscutibile talento da paroliere e di uno sguardo sul mondo decisamente fuori dagli schemi, caratteristica essenziale per chi vuole fare il suo mestiere. Ha all’attivo un album, “Ezio”, uscito nel 2011, che contiene undici spaccati di poetica realtà quotidiana. Se proprio dovessimo incasellarlo, Matteo Castellano è un saltimbanco imprevedibile a metà tra Gaber e Paolo Conte, in bilico perenne tra l’allegria e il malinconico.
Con l’immancabile chitarra sulle spalle, ci racconta con schiettezza tutto quello che c’è dietro all’album: i cinque anni di gavetta, che in fondo non è mai finita, i riscontri buoni ma forse non corrispondenti alle attese, le sue delusioni e il suo passato, il luogo dove sono nate molte delle sue canzoni.

La sezione musicale di “Ezio” è eclettica e di grande coraggio,  mentre ciò che colpisce di più dei testi è l’idea di qualcosa non ancora sentito. Credi di aver dato una scossa?
«Quello che ho cercato di fare con Ezio è un qualcosa che fosse “altro”, un prodotto completamente originale. Forse cercando l’originale ho strizzato l’occhio ai cantautori, ma dei riferimenti e degli spunti ci devono essere. Quando scrivo un pezzo penso solamente a concentrarmi e soprattutto a divagare sul mio testo: certo, posso partire giocando su qualche accordo di Paolo Conte, per citarne uno, ma quando inizio a lavorare seriamente e proseguo nella stesura, di Paolo Conte mi importa poco. Con tutto il rispetto».

Che tipo di riscontri hai avuto con “Ezio”?
«Non ho avuto i grandi riscontri che mi aspettavo prima di uscire con il disco. O meglio, musicalmente ne è stata riconosciuta la validità, le vendite invece non hanno deluso le mie aspettative. Ezio è il risultato finale di un lavoro di cinque anni, tra ricerca di produzione e perfezionismo mio sui singoli pezzi. Se impieghi cinque anni a pubblicare un disco, irrimediabilmente lo associ a un’idea di fallimento. Idea che però mi è stata utile, perché mi ha dato grande consapevolezza, ho capito che era sbagliato aspettarsi troppo. Musicalmente sono consapevole del suo valore ma ho deciso di non preventivare più nulla, tutto quello che arriva è un valore aggiunto».

Uno de brani del disco è “Per morire con più stile”, un suicidio voluto e ritardato aspettando l’occasione perfetta che non arriva mai, come Godot.
«Ho scritto questo pezzo a diciotto anni, era un’epoca in cui mi sentivo esteta e inquieto. Personalmente sono molto lontano dall’idea di suicidio così come lo ero nella mia adolescenza. Proprio perché non ho mai avuto nulla a che fare con il suicidio, mi ci sono potuto avvicinare per guardarlo da lontano, trattarlo con un po’ di ironia e un po’ di amarezza. E’ un dramma che trovo molto affascinante, mi sembra che equivalga a cristallizzare un certo momento, uno stato d’animo a cui magari teniamo eccessivamente. Non a caso è il gesto per eccellenza dell’eroe romantico».

Il personaggio chiave della tua musica è un innamorato non corrisposto, che perde sempre ma continua a sperare nell’amore di una donna indifferente.
«La donna nei miei pezzi è idealizzata quindi falsa, una volta messa in musica è totalmente diversa rispetto alla vita reale. Sconsiglio di innamorarsi delle ragazze già impegnate, si rischia di vivere un’esistenza d’inferno inseguendo una chimera, una persona a cui noi e solo noi diamo certe caratteristiche ma che in realtà non esiste, è frutto della nostra fantasia malata. Io l’ho fatto tante volte, usavo i miei innamoramenti, le mie storie e i mei periodi più agitati come scintilla che mi ispirasse per scrivere canzoni. Mi rispecchio totalmente nel personaggio che creo, ogni mio pezzo nasce da un dato reale o da un’esperienza vissuta su cui poi io gioco, a volte fin troppo».

L’ambiente musicale di Torino ti permetterà di produrre un altro disco? Quanto è difficile essere cantautore in tempo di crisi?
«Il materiale c’è, i collaboratori anche. Il periodo non è dei più felici, anche se c’è da dire che per fare un buon album non è necessaria una produzione biblica. A mali estremi rimane l’ipotesi dell’autoproduzione alla Frank Zappa, forse la qualità del prodotto finale potrebbe risentirne, fare tutto da solo è faticoso e l’errore è dietro l’angolo. Torino ha diverse case discografiche interessanti ed è una città musicalmente viva, questo ormai lo sanno tutti. Nonostante si creda nella musica, almeno in un certo tipo, manca ancora, qui come altrove, un’imprenditorialità seria: nessuno ha mai considerato l’idea dell’artista rinascimentale, che lavora su commissione dei mecenati. A me non dispiacerebbe, non mi sentirei limitato né venduto. Vengo pagato ed esco con un album, ad esempio, per un produttore di piastrelle. Due pezzi sono pubblicitari e gli altri legati da un filo conduttore che richiami il mondo delle piastrelle per i bagni. Strano, no? Se ci sono problemi complessi io per me invento soluzioni buffe».

Link utili:
Matteo Castellano – My Space
Per morire con più stile

 

Conoscevate la musica di Matteo Castellano? Investireste mai nel cantautorato al giorno d’oggi?

Tag: ,

Categorie: Musica

Lascia un commento