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17 Ottobre 2013

Adriano Viterbini, una chitarra per dire tutto

Il leader dei Bud Spencer Blues Explosion parla del suo primo lavoro da solista, che presenterà domani sera sul palco dell’Hiroshima Mon Amour

Matteo Fontanone

Adriano Viterbini, in concerto domani sera all’Hiroshima Mon Amour

Adriano Viterbini è il chitarrista dei Bud Spencer Blues Explosion, un duo romano che propone blues elettrico veloce e divertente. Domani venerdì 18 ottobre all’Hiroshima Mon Amour Viterbini presenta “Goldfoil”, il suo primo lavoro da solista, figlio dell’esigenza profonda di omaggiare i suoi maestri musicali e di dedicarsi sotto un’altra angolatura al suo strumento, la chitarra. Della creazione del disco, ma anche del suo rapporto con la musica e delle sue influenze parla Adriano in queste righe.

Goldfoil è un album di ritorno alle origini, siete tu e la tua chitarra nel bel mezzo di spazi sonori minimali e illimitati.
«Goldfoil è un disco che vuole essere un omaggio a tutta quella musica che ha il cuore un po’ sottovoce, che non viene suonata per ostentare chissà quale tecnica o messaggio, è un linguaggio semplice che mi ha aiutato ad andare avanti negli ultimi anni. Una musica del genere è quello di cui avevo bisogno: sedermi e suonare la chitarra a occhi chiusi, con il cuore. Per la prima volta ho sentito la necessità di maturare un approccio di questo tipo sullo strumento e di lasciare un segno tangibile con un disco. Mi sento particolarmente soddisfatto, di solito sono poco obiettivo sui miei lavori tanto che alle volte voglio quasi liberarmene con un senso di fastidio: questo disco invece lo ascolto con molto piacere».

Che significato ha il nome del tuo lavoro?
«Goldfoil, lamina d’oro: sono pickup per chitarra elettrica degli anni ’60, hanno la peculiarità di essere molto acustici, io mi ci trovo bene perché danno un ampio margine di espressione al suonatore. Mi piaceva l’idea di scegliere questo titolo un po’ particolare, trovo che renda bene l’idea di un album dedicato a uno strumento, la chitarra, e a delle persone specifiche, i chitarristi».

Il tuo sembra un disco molto americano…
«In effetti la resa dell’album vira su sonorità e sensazioni di questo tipo. Nel disco ci sono diverse cover e mie reinterpretazioni di molti artisti: Jack Rose è un gigante della musica minimale e acustica, lo conoscono in pochi e Goldfoil è essenzialmente dedicato a lui. Non solo: trova le sue radici nel blues rurale del Mississippi, nella musica africana dei tuareg. La chitarra è uno strumento straordinario, ti permette di creare quello che vuoi: momenti più introspettivi e più carichi, elettrici. Nei miei concerti cerco di proporre e miscelare entrambi».

Parliamo di Woody Guthrie, un’influenza di tutto rispetto che da Goldfoil emerge prepotentemente.
«Woody Guthrie ha insegnato tanto non solo a me, figuriamoci, ma anche ai miei maestri, alle mie ispirazioni di sempre. La sua influenza è stata ed è fondamentale, musicalmente ma soprattutto a livello umano. Quando si parla di lui si vola verso un contesto storico preciso: l’America di quegli anni, Steinbeck, la Grande Depressione. Gli ho dedicato un pezzo con l’intento di parlare di lui al mio pubblico, fotografarlo dal mio punto di vista e offrire lo scatto a chi compra il mio disco».

Collaborazioni particolarmente riuscite nel disco?
«Una collaborazione di cui sono orgoglioso è quella di Alessandro Cortini, tastierista italiano dei Nine Inch Nails, che ha lavorato su un mio brano rendendolo più misterioso, ha dato il suo tocco che era fondamentale per la riuscita del pezzo. Per quest’album ho cercato di confrontarmi con gente che ammiro e di portare un po’ più in alto la mia ricerca personale. Non volevo fare la macchietta di un disco acustico degli anni ’70, il mio intento era quello di uscire con un lavoro contemporaneo ascoltabile da chiunque. Mi sembra di esserci riuscito, sto ricevendo dei commenti positivi».

Commenti positivi da un pubblico selezionato: scegliere la via strumentale è coraggioso, ti esclude a prescindere da diversi iPod. «Non vorrei suonare pretenzioso, ma non è mia intenzione arrivare a tutti. Ognuno deve fare ciò che sente artisticamente più suo, io suono questa musica perché è quello in cui credo, è una questione viscerale. Imbraccio una chitarra e mi sento vivo. Credo che anche gli artisti rap possano fare bene: i Colle der Fomento a Roma portano avanti da anni il loro discorso con coerenza e credibilità. Il successo inteso come feedback di “mi piace “ su Facebook lascia il tempo che trova, non è per quello né tantomeno per i soldi che si deve suonare. Certo, con la musica ci si deve vivere, ma non riuscirei a snaturare il mio suono e le inclinazioni per rispondere a questa o a quella esigenza di pubblico».

Per congelare il tuo cammino con il gruppo dovevi sentire il tuo disco solista come un’esigenza impellente.
«È vero, sentivo il bisogno urgente di migliorare individualmente e di crescere: con i Bud Spencer sperimentare con il materiale che ho usato per Goldfoil sarebbe stato complicato, senza contare che avrebbe minato il progetto originale. Sarebbe stata una forzatura. Io nasco come chitarrista e questo è il mio ruolo: ho voluto fare un album sincero, in primo luogo verso me stesso. Volevo rappresentare la mia vita, il mio carattere, farmi vedere per come sono, far emergere il mio amore verso lo strumento».

Cosa si deve aspettare il pubblico dal concerto all’Hiroshima?
«Chi viene a un mio concerto lo fa per rilassarsi, per sentire una miscela di vari generi musicali assemblati in maniera pacata, senza funambolismi o effetti speciali. Una musica che tante volte vorresti ascoltare e riesci poco a sentire: il mio concerto è quello che piacerebbe vedere a me dalla parte del pubblico».

Link utili:
Adriano Viterbini
Hiroshima Mon Amour

 

Andrete domani sera all’Hiroshima? Avete già ascoltato l’album di Adriano Viterbini?

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Categorie: Musica

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