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22 Gennaio 2014

In prima persona con Amnesty

Intervista a Simone Piani, giovane responsabile delle attività educative in Piemonte dell’organizzazione internazionale che dal 1961 difende i diritti umani

Valentina Esposito e Simone De Caro

L’organizzazione a tutela dei diritti umani è strutturata in gruppi regionali e locali

Amnesty International è un’organizzazione non governativa internazionale impegnata nella difesa dei diritti umani,  nata nel lontano 1961. Dopo aver vinto nel 1977 il premio Nobel per la Pace, conta oggi più di due milioni di sostenitori in oltre 150 paesi del mondo.
La sezione italiana è nata nel 1975 e da allora è in continua crescita: organizzata in strutture regionali, conta oggi più di 200 gruppi locali. Da uno di questi, in particolare quello di Pinerolo, è partita l’avventura in Amnesty di Simone Piani, ventiduenne, studente di Scienze dell’Educazione e da qualche mese referente regionale di Amnesty International per quanto riguarda le attività educative.
Digi.TO lo ha intervistato per conoscere la sua esperienza e le attività dell’organizzazione internazionale in Italia e a Torino.

Come hai scoperto Amnesty e perché hai scelto proprio questa associazione?
«Non so se è stato il mio interesse per i temi sociali e l’attualità a portarmi dentro Amnesty o viceversa. Ci sono entrato quasi per caso, senza grandi riflessioni etiche dietro e  prima ancora di essere pienamente interessato a queste tematiche. L’ho scoperto durante gli anni passati al liceo Porporato di Pinerolo, grazie all’iniziativa abbastanza spontanea di una mia compagna di classe che si è interessata per prima e ha voluto mettere in piedi un gruppo proprio nella nostra città. Ha scartabellato un po’ tra varie associazioni e Amnesty era quella che le interessava di più, ha coinvolto otto di noi e da allora ne faccio parte. E’ stata una scelta determinante, che ormai mi ha segnato per la vita. Solo successivamente mi sono avvicinato al gruppo di Torino».

Qual è esattamente il tuo ruolo?
«Collaborando con il gruppo di Torino soprattutto nell’ambito dell’educazione ai diritti umani, che è una grossa tematica portata avanti da Amnesty con la formazione nelle scuole, dal giugno scorso dalla direzione regionale mi hanno chiesto di diventare referente Edu, cioè gestire a livello organizzativo le attività educative di Amnesty in Piemonte. Detto così sembra quasi “spaventoso”, ma sono affiancato da persone che mi aiutano, collaborano con me e alle volte integrano quello che ancora non so fare».

Come riesci a portare avanti il tuo impegno sociale assieme alla  vita di tutti i giorni?
«Dopo un diploma al liceo classico avevo iniziato quattro anni fa un percorso di Ingegneria, al Politecnico, ma dopo due anni di studio ho capito che non potevo far coincidere il mio interesse scientifico con quello sociale, perché o una o l’altra cosa richiedevano l’impegno massimo. Quindi ho deciso di passare a Scienze dell’Educazione, che ammetto essere una facoltà più “alla portata”, che permette di portare avanti progetti anche fuori dall’Università. Forse non è stata pensata per questo, ma lascia il giusto spazio per lavorare e per le proprie iniziative e ritengo sia una cosa necessaria, perché come ambiente è molto teorico e non dà competenze pratiche all’interno dell’ateneo, come ogni facoltà umanistica: si esce da lì pieni di idee ma con poco tra le mani».

Quali sono le tematiche che portate avanti da Amnesty e soprattutto come vengono scelte?
«La massima che cerchiamo di seguire è quella del “più possibile insieme”. Amnesty parte da Londra e in Italia vede la sua sede centrale a Roma. Una volta all’anno si tiene un’assemblea generale, tutti i soci prendono democraticamente le principali decisioni su come procedere e poi in realtà ogni due anni viene redatto un piano generale che detta le linee guida, che tutti i gruppi sono chiamati a mettere in pratica. Per quest’anno, per quanto riguarda l’Italia le tematiche principali sono quelle della tortura, come pratica formalmente non vietata nel nostro codice penale ma praticata nelle carceri italiane e come questione poco affrontata in generale; la difesa dei diritti Lgbt, una tematica in realtà europea, ovvero i diritti delle persone discriminate a causa della loro identità sessuale. Un tema prettamente italiano riguarda invece le forze di polizia: in Italia c’è stato lo scandaloso evento del G8 e della Diaz, quindi portiamo avanti una campagna per la trasparenza di questa parte dello Stato, affinché non si adoperi la violenza gratuita e non avvengano più episodi simili. Sono tutti piccoli tasselli che cerchiamo di portare avanti per una maggiore coscienza dei cittadini, della politica e della polizia».

E’ inevitabile quindi un certo rapporto con l’istituzione, con la politica. In questo caso, come agite?
«Il punto di partenza è che Amnesty vuole essere un’associazione assolutamente apartitica, per mantenere la neutralità delle posizioni ed essere il più coerente possibile con le proprie attività. Non prende finanziamenti, non partecipa a eventi politici legati a fazioni, per essere il più trasparente possibile. Però è un’associazione che interviene sulla politica e pensa che essa sia il primo e ultimo interlocutore: il primo perché è quello a cui ci si rivolge per primi e allo stesso tempo l’ultimo, perché è l’istituzione che deve intervenire. Spesso non si percepisce un senso di rappresentanza verso il Governo e quando non c’è più controllo da parte dei rappresentati sui rappresentanti è facile cadere nell’abuso sui diritti umani. E’ il motivo per cui chiediamo che si intervenga nel modo più tempestivo possibile».

Come concretizzate questi temi? Quali attività organizzate?
«Noi facciamo molti progetti concreti, perché se no parlare di diritti umani sembra sempre una cosa campata per aria, tra le nuvole. Anche se in difficoltà per esami e questioni legate alla vita quotidiana, come volontari riusciamo a fare belle cose: per esempio, ormai tre anni fa abbiamo realizzato un murales in un sottopassaggio di Pinerolo in collaborazione con i KNZ, una crew di writer di Torino, in cui è rappresentato il primo articolo della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo. L’abbiamo fatto un po’ per promuoverci, un po’ per ricordare che l’arte è una grande forma d’espressione e chiunque può e deve sentirsi coinvolto nelle tematiche dei diritti umani, anche passando di fronte a un murales. Facciamo anche incontri e conferenze pubbliche, appoggiandoci alle scuole: a Torino sono attivi una cinquantina di percorsi, con tematiche proposte con gli istituti stessi. Siamo una decina di volontari e organizziamo due o tre incontri per interagire con attività e lezioni frontali per sensibilizzare i ragazzi. E’ stato molto bello concludere recentemente dei percorsi in un ente professionale, perché alcuni di questi ragazzi non erano mai stati coinvolti in progetti simili e hanno visto che esistono dei punti di vista diversi dai loro. Andiamo dalle elementari al liceo e, quando abbiamo le forze, persino all’università».

Un consiglio a chi volesse interessarsi e attivarsi concretamente: come iniziare?
«Non è fondamentale attivarsi subito, ma come prima cosa è sicuramente utile consultare il sito. Ci sono i nostri appelli, che sono lo strumento principale per manifestare i casi di violazione dei diritti umani, raccolte firme a cui si può aderire, progetti scolastici e altre iniziative, oltre ai comunicati stampa e le notizie: tutto ha valenza informativa ma anche già pratica, di partecipazione. Poi ci si può interfacciare con le realtà locali: ad esempio si può scrivere ad Amnesty Piemonte oppure Amnesty Torino, chiedendo quali realtà esistono nel territorio, o se già si sa dell’esistenza di qualche gruppo, basta contattarli. A Pinerolo non abbiamo una sede, ma spesso per le vie ci sono i nostri tavolini, quindi perché non parlarci direttamente? E’ chiaro che alla base ci vuole sempre l’interesse e qui mi sento di dare un ultimo, personalissimo consiglio, che poi è ciò che di solito dico ai ragazzi nelle scuole: è molto facile lamentarsi, usare espressioni fatte, dire che la politica fa schifo, condividere sui social il link del bambino africano denutrito, ma se per primi non si fa qualcosa, se non ci si attiva per sapere, per informarsi, darsi da fare per cambiare le cose, è tutto inutile».

Link utili:
Amnesty International Italia
Amnesty International Piemonte

Conoscete Amnesty International? Sono temi che vi interessano?

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Categorie: Intercultura

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