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15 Maggio 2014

Fumne Independent: una nuova vita dopo il carcere

L’associazione Lacasadipinocchio, attiva da anni alle Vallette, ha creato un progetto per aiutare le detenute a prepararsi un futuro professionale

Fabio Cassanelli e Giulia Porzionato

Il progetto Fumne Independent aiuta le detenute a crearsi un futuro professionale

Gli anni del carcere possono diventare anni di maturazione, in attesa di un reinserimento nella società. Tale rinserimento può non essere semplice né immediato; proprio per questo nella Casa Circondariale Lorusso e Cutugno di Torino è attiva Lacasadipinocchio, associazione culturale con il sostegno della Compagnia di San Paolo che dal novembre 2008 organizza laboratori artigianali con donne detenute tra i 25 e i 55 anni.
Il lavoro di laboratorio serve a “esprimere le azioni creative nei confronti della realtà esterna soprattutto nella direzione della realtà delle donne, al fine di attivare metodologie creative e trasformative per realizzare l’esperienza del cambiamento”. I laboratori Fumne Independent , di durata biennale, sono contemporaneamente ecosostenibili e attenti al sociale, permettendo alle detenute di “inventarsi” un lavoro e, una volta libere, poter essere assunte come figure professionali.
Le donne sono guidate da un team di esperte in business plan, ricerca di finanziamenti, coaching e comunicazione. Ne parliamo con la coordinatrice del progetto Monica Cristina Gallo e la formatrice Barbara Magnani.

Com’è nata l’idea del progetto?
Monica Cristina Gallo: «L’idea ci è venuta grazie a una ragazza che dopo aver scontato la sua pena ed essere uscita, ci ha contattato per avere consigli su come mettere su un laboratorio di sartoria. Incontrava molte difficoltà e così abbiamo pensato a come aiutarla ed è nato il progetto FumneIndependent.

Quante detenute sono state coinvolte?
M. C. G.: «Il progetto ha la durata di 2 anni e comprende 4 cicli di formazione. Per ogni ciclo partecipano dieci donne e il totale di donne che andremo a formare per il lavoro autonomo saranno circa quaranta».

Può raccontarci qualche storia emblematica tra gli esempi di successo dell’iniziativa?
M. C. G.: «Abbiamo finito ora il primo ciclo e parlare di successo è prematuro, posso affermare che l’interesse è stato elevato e le professioni scelte dalle donne sono estremamente interessanti».
Barbara Magnani: «Daniela ad esempio ha pensato a una sartoria lowcost per riadattare vecchi abiti da vendere a scopo benefico, mentre Michela vorrebbe realizzare ombrelloni dotati di ‘kit di raffreddamento’. C’è poi un piccolo laboratorio per creare gioielli su richiesta che nascerà, ci auguriamo, dalla passione di Teresa, una bella Rom che avendo sempre maneggiato oro e preziosi rubati sa apprezzarne il valore. Oppure una linea di gadget realizzati con “la cicciona”, personaggio di fantasia nato dal pennello di Isabel, detenuta di origini spagnole con la passione per il disegno. Lepa pensa a una cooperativa di servizi gestita da donne ex detenute. Lucia vuole mettere a frutto la sua esperienza in carcere creando un servizio di consulenza per chi in carcere c’è ancora e ha bisogno di supporto pratico per il rinnovo dei documenti o il dissequestro dell’auto. Jasmina invece è un’ottima cuoca e pensa a un camper itinerante per far conoscere la cucina Rom, molto saporita e sana, ma poco nota. Manuela offrirà servizi di acconciatura nel container del campo Rom in cui vive. All’uscita potremo monitorare che cosa queste donne hanno davvero imparato e come vogliono spendere il loro nuovo sapere, e qui le istituzioni hanno un compito importante, e cioè quello di cercare di non complicare i progetti ma aiutarne lo sviluppo».

E cosa hanno imparato dall’esperienza le formatrici e le esperte?
M. C. G.:
«Il carcere è un luogo inumano, la pena detentiva fatta di 22 ore di cella e due di aria non rieduca. Dai progetti che abbiamo attivato fino a oggi e in particolare da questo ultimo abbiamo imparato che dobbiamo seminare un modo di sentire diverso, cambiare la nostra idea che abbiamo del carcere,  lavorare affinché divenga un pezzo di città che deve essere stimolato, incoraggiando chi lo dimora».
B. M.: «Per le formatrici è stata un’esperienza molto stimolante. Prima di tutto per l’impegno messo nel semplificare temi non proprio facili, come il business plan o i finanziamenti, e poi nel riuscire a coinvolgere e interessare le detenute, dare fiducia nella possibilità di realizzare i loro progetti una volta uscite dal carcere».

Avete progetti futuri da realizzare?
M. C. G.:
«FumneIndependent si aggiunge alle attività già avviate: Fumne il brand che vende oggetti femminili con punti vendita anche all’estero e il Fumne lab che organizza sabati di contatto e scambio di competenze tra donne libere e detenute. Quindi per ora tre progetti all’attivo direi che bastano».

 

Link utili:
Associazione Lacasadipinocchio

Che cosa pensate del progetto Fumne Independent?

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Categorie: Lavoro

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