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14 Ottobre 2014

(Dis)occupazione giovanile in Italia: un viaggio per immagini

La fotografa bolognese Simona Hassan racconta il suo progetto fotografico, realizzato grazie al crowdfunding, sul rapporto fra lavoro e under 35

V.M.

La bolognese Simona Hassan, autrice del progetto fotografico “(dis)occupazione giovanile”

È una storia di disoccupazione. Una storia di giovani sognatori che questo bel paese dovrebbero costruirlo, ma a cui hanno sottratto gli strumenti per farlo. È anche la storia dei compromessi e delle ingiustizie a cui si sono dovuti abbassare tutti quelli che un impiego ce l’hanno, se così si può dire. I (dis)occupati, gli “occupati sì, ma come?”. È la storia di chi ha cercato di reagire reinventandosi, mettendosi in gioco, cercando di creare qualcosa.
Una storia con un’autrice giovanissima, Simona Hassan, bolognese, 26 anni a novembre, che spiega così il suo intento: «Vorrei che queste storie potessero, in qualche modo, riscattare i loro protagonisti». Il sito del progetto fotografico (dis)occupazione giovanile – Italians do it better, reso possibile grazie al crowdfunding, è online dal 16 settembre. Ecco che cosa ci ha raccontato Simona a proposito della sua “creatura”.

Com’è nata l’idea del progetto?
«L’idea è nata negli ultimi mesi dell’università, a metà 2013: la laurea si avvicinava e con essa anche il bisogno di tirare le somme e capire come proseguire. Qualcosa di difficile in un paese come questo, in un periodo come questo. E così, stanca di numeri e percentuali usati da giornali e telegiornali per descrivere la situazione giovanile in Italia mi son chiesta come potevo raccontare, invece, come stiamo, cosa viviamo, cosa sogniamo e cosa combattiamo ogni giorno proprio noi giovani. Bologna è una città che fa incontrare tante persone, rivela tante storie: pensare di estendere il racconto a tutta l’Italia è venuto da sé».

Alcune immagini del progetto: “Romolo e Carlotta”

In effetti il progetto ti ha permesso di girare per l’Italia in cerca di volti e storie da raccontare. Quali città hai visitato?
«Oltre a Bologna, la mia città, ho visitato Ferrara, Padova, Milano, Novara, Firenze, Roma, L’Aquila, Pesaro, Napoli, Reggio Calabria, Rosarno, Villa San Giovanni, Catania, Modica, Sassari, Santa Teresa di Gallura, Iglesias. Anche il modo in cui questo viaggio si è costruito, attraverso passaggi su blablacar, ospitalità dalle persone più diverse e semi sconosciute, ha creato un movimento intorno al progetto che è stato qualcosa di straordinario da vivere».

In che modo hai raccolto le storie dei protagonisti del tuo foto-progetto?
«Semplicemente chiacchierando con i ragazzi e le ragazze. Dalle loro parole, nasceva un’associazione fotografica. Le foto sono state tutte scattate in luoghi significativi per la persona, nella maggior parte dei casi nelle camere da letto, perché spesso sono ancora quelle dell’adolescenza, nella casa dei genitori. Io credo che le camere delle persone, come tanti altri luoghi con cui abbiamo un legame forte, parlano tanto di noi, sono di per sé molto eloquenti. In questo periodo, poi, dicono tanto in generale: della nostra precarietà, del fatto che non riusciamo a uscire dalla casa dei nostri genitori perché non abbiamo un lavoro o ne abbiamo uno incerto e/o sottopagato. Il nostro futuro è indeterminato, e in parte è bello così, perché è così che deve essere, ma non in questi termini e con questi estremi: siamo una generazione rapita da meccanismi che non abbiamo creato e che ci stanno strozzando, a cui è stato chiesto come riscatto il proprio futuro. O almeno questa è l’aria che si respira».

“Elena”

Tra tutte le storie che hai raccolto, quali sono state quelle che ti hanno colpita di più?
«Mi hanno colpito tutte molto: sentire raccontare le persone delle proprie personali sfide, difficoltà, soddisfazioni, sofferenze, gioie, sogni è qualcosa di molto forte da digerire, assorbire e restituire. Sono molto affezionata ai ragazzi di Santa Teresa di Gallura perché stanno cercando di infestare di arte, cultura, dialogo e rapporti genuini un territorio che è stato reso arido in molti sensi. Penso spesso anche ai ragazzi ad Iglesias, a L’Aquila, agli amici calabresi che devono affrontare la difficoltà della ricerca di un lavoro in territori di per sé problematici per natura; penso a Elena di Padova per le parole che mi ha detto la sera in cui si è avviato questo viaggio e poi continuerei citandoti tutte le storie di tutte le persone che ho incontrato perché ognuna mi ha colpito a suo modo».

E’ stato difficile trovare i finanziamenti per il foto progetto?
«Sì, nel senso che è davvero molto difficile farsi finanziare un progetto fotografico quando sei uno sconosciuto. Però devo ammettere che quasi subito ho pensato sarebbe stato bello utilizzare il crowdfunding come fonte di finanziamento, perché la storia che racconta il progetto è una storia che riguarda tutti quanti noi giovani e vederla realizzata grazie al poco aiuto, ma tanto, se si parla di valore, di molti ha dato una forza incredibile sia a me che al progetto stesso».

Anche i giovani che hai incontrato non sembrano ottimisti sulla possibilità di trovare un impiego, alcuni pensano che sia meglio lasciare l’Italia e andare all’estero. Pensi che nei prossimi anni la situazione sarà diversa, magari migliore?
«No, assolutamente, penso che potrà essere solo peggio di così. Non biasimo chi sceglie di andarsene anche perché in tanti casi chi lo fa la sente come un’esigenza forte e personale su cui non aprirei mai bocca. Non penso nemmeno, però, che il futuro dell’Italia, che vedo nero, si debba per forza tradurre in una migrazione di massa o che questa sia la soluzione ai problemi che abbiamo».

“Laura”

Quali dritte ti senti di dare a un ragazzo giovane che sogna di far diventare la sua passione per l’arte una carriera, come stai facendo tu?
«Non penso di star facendo questo, non cerco “una carriera”: mi viene da dire che quello che cercano le tante persone che come me vorrebbero dedicarsi al mondo dell’arte è qualcosa che sta molto più alla base, è forse solo riconoscimento. Una base, appunto, da cui partire, ma che in Italia ci sognamo nonostante tutto il nostro passato in questo senso. Penso che a prescindere da ciò sia doveroso trovare le forze, le energie e il nostro ambiente positivo per rimanere tali e dedicarci a ciò che ci fa stare bene e ci rende felici. In qualsiasi ambito. Quindi, che dire? Non ci si deve scoraggiare, ma anzi ci si deve far forza a vicenda, ricercare quegli spazi e quei tempi da dedicarci e in cui poter respirare positività e vitalità. Non smettere di capire e rincorrere le cose veramente importanti perché, come dice qualcuno, questo immenso smarrimento può anche tradursi in immensa libertà. Se ci credi prima o poi i risultati arrivano e anche un sorriso, una frase distratta, una parola soltanto possono cambiare tutto».

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Categorie: Cultura

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