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2 Marzo 2015
Il favoloso mondo di Amélie (Nothomb)
La scrittrice belga ha incontrato i suoi fan al Circolo dei Lettori di Torino per presentare il suo nuovo romanzo, Pétronille, che parla di un’amicizia fra donne
Claretta Caroppo
Era presente anche Digi.TO giovedì scorso al Circolo dei Lettori, dove una scintillante Amélie Nothomb – in gonna floreale e cappello a grandi falde – ha presentato il suo ultimo libro, Pétronille, pubblicato in Italia dalla casa editrice Voland.
La scrittrice, nata nel 1967 in Giappone da un padre diplomatico, ha trascorso l’infanzia e la giovinezza muovendosi con la famiglia in molti paesi dell’Asia e dell’America, per poi stabilirsi in Belgio. Nel settembre del 1992 la casa editrice Albin Michel pubblica il suo primo romanzo, Igiene dell’assassino, che la consacra a soli 25 anni come una delle migliori penne dell’età contemporanea. Da allora i romanzi di Amélie Nothomb, che attingono da vicende autobiografiche (gli anni trascorsi in Giappone, la funesta esperienza da impiegata in una grande multinazionale, le difficoltà alimentari) sono stati tradotti in tutto il mondo.
Pétronille narra la storia di un’amicizia fra due scrittrici, la stessa Amélie Nothomb e Pétronille Fanto, la prima già affermata e osannata dal pubblico e l’altra al suo debutto. Le due donne sono unite dalla comune passione per lo champagne e, tra un bicchiere e un altro, si concedono excursus su vita e letteratura.
Poco prima della presentazione del romanzo al Circolo dei Lettori siamo riusciti a farle qualche domanda.
Come coesistono in te, l’anima elegante che viene dalla tua esperienza in Giappone e quella, che tu hai definito grottesca, che invece è belga?
«É molto difficile conciliare queste due anime. Esse apparentemente non hanno alcun legame e infatti penso che diano luogo a un tipo di scrittura estremamente contrastata: da un lato molto controllata, stilizzata, giapponese anche talvolta poetica e, dall’altro, a una scrittura che mostra scrosci improvvisi di grottesco, di aspetti difficilmente identificabili: si tratta di quelli che, nell’arte, vengono definiti lato apollineo e lato dionisiaco».
In Giappone hai lavorato in una multinazionale. Che cosa ha significato quel momento per te e che connessione c’è con la letteratura?
«Paradossalmente, l’esperienza che ho vissuto in questa multinazionale giapponese è stata un’occasione formidabile. Scrivevo già da giovane, ma mai avrei avuto il coraggio di essere scrittrice, pensavo che sarei stata ridicola, che sarei stata umiliata facendo leggere i miei romanzi a qualcuno e avevo troppa paura. Poi, durante il lavoro in questa multinazionale, ho ricevuto un’umiliazione straordinaria, ero Madame Pipì (Amélie ebbe dei contrasti con la sua superiore: le vennero affidate le mansioni più bizzarre, fino a guardiana dei bagni, come racconta in Stupore e tremori ndr) e ho pensato che non poteva esserci nulla di peggio al mondo di essere Madame Pipì, così ho preso coraggio e ho deciso di inviare i miei manoscritti al mio attuale editore a Parigi. Possono venire cose belle anche grazie a un’umiliazione».
Veniamo al romanzo, chi è Pétronille?
«Pétronille esiste, si chiama Stephanie Hochet e ne ho fatto un personaggio del mio romanzo. Volevo raccontare di quanto possa essere sincera un’amicizia tra donne, senza connotarla attraverso i rapporti di rivalità, ma con i battibecchi, le enigmaticità e anche la solidarietà. Ho pensato che non esiste nella letteratura francese un romanzo che narri veramente di un’amicizia femminile, così mi sono ispirata alla mia personale esperienza di amicizia».
L’altro elemento portante del romanzo è lo champagne. Nel 2008, in Cause di forza maggiore, hai scritto “c’è un istante fra il quindicesimo e il sedicesimo sorso di champagne durante il quale ogni uomo è un aristocratico”. Che caratteristiche ha un buon compagno di bevute?
«Un compagno o una compagna di bevute deve avere tre caratteristiche: essere un bevitore che sa farlo, avere l’alcool allegro e non piagnucolone e soprattutto, è necessario che si sia reciproca fiducia».
Ho letto che per scrivere usi la carta e non il computer, sei metodica?
«Ho una specie di mistica della scrittura. Non ho un pc, né un computer. Scrivo ogni giorno, senza nessuna eccezione, dalle 4 alle 8 di mattina, semi distesa sul letto, dopo aver bevuto velocemente mezzo litro di tè molto forte, con lo stomaco vuoto, con delle penne non di pregio su una carta non di pregio, e senza mai fermarmi».
Scrivere, perché?
«Penso che la vita sia sublime, ma quello che le manca, alla fine, è il senso, perché il senso della vita non è sempre visibile: il ruolo della scrittura è di rendere visibile il senso della vita, perché la vita, sono sicura, è certamente di per sé sublime, così come sono sicura che la vita sia anche orribile, ma comunque piena di cose sublimi: lo champagne è sublime, la bellezza è sublime, essere oggi a Torino è sublime. Ci sono e ci saranno delle cose orribili, ma alla fine, ciò che non è visibile è il senso e la scrittura esiste per questo».