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9 Aprile 2015

Gabriele Lolli: “La matematica va usata, non contemplata”

Intervista al matematico della Scuola Normale di Pisa, in occasione dell’incontro di domani al Circolo dei Lettori con Bottazzini e Odifreddi

Tommaso Portaluri

Il matematico Gabriele Lolli

È uscito per il Mulino il volume I numeri, prima pubblicazione nella collana Raccontare la matematica, che si propone l’ambizioso obiettivo di mostrare i legami della matematica con la storia del pensiero, di farne comprendere il valore culturale, di presentarla come alfabeto del mondo. L’autore è Umberto Bottazzini, professore ordinario di Logica matematica all’Università Statale di Milano a cui è stato recentemente assegnato il prestigioso Whiteman Prize per l’importante contributo alla storia della matematica. Il volume sarà presentato domani, venerdì 10 aprile, alle 18 al Circolo dei Lettori in un dibattito fra Bottazzini, Piergiorgio Odifreddi e Gabriele Lolli.
Cogliendo l’occasione della imminente presentazione abbiamo intervistato quest’ultimo, laureato in matematica all’Università di Torino e specializzatosi in Logica matematica a Yale, attualmente docente di Filosofia della Matematica alla Scuola Normale Superiore di Pisa.

Come è possibile definire, brevemente, il concetto di numero?
«Non è possibile, neanche Bottazzini nel suo nuovo bel libro si sbilancia. Intanto esistono diverse specie di numeri: gli interi positivi per contare, i negativi per tanto tempo rifiutati perché non potevano essere misure di grandezze, le frazioni per esprimere le proporzioni, i numeri reali che sono il limite di processi di approssimazione e sono oggetti infiniti, i complessi a lungo chiamati immaginari, cioè non veramente esistenti, e tanti altri. Anche ammettendo che ci si possa limitare a considerare solo gli interi positivi, e gli altri ridurli a questi con opportune definizioni, la domanda “cosa sono i numeri” ha diverse risposte. Per alcuni sono una realtà astratta ma oggettiva, un mondo platonico; per altri sono il prodotto di una facoltà mentale, chiamata in genere intuizione, che li associa al passare del tempo; per altri ancora sono una costruzione logica, e gli psicologi neurofisiologi ora sostengono che sono il prodotto di un’attività cerebrale radicata nell’evoluzione e ora innata. Più modestamente, e laicamente, i numeri sono una costruzione umana che estrae dal linguaggio una parte che si autonomizza in linguaggi specialistici, rivolti a operazioni di conto, misure, rappresentazione di relazioni; questi linguaggi si distinguono per l’uso di simboli propri, che sottolineano il distacco dai significati usuali e permettono di costruire modelli semplificati dei fenomeni».

Che cos’è l’intuizione matematica? È paragonabile alla percezione sensoriale?
«L’intuizione matematica è paragonabile alla percezione sensoriale solo da parte di chi è convinto che i numeri abbiano una realtà solida, i platonisti, e che le loro proprietà si colgano contemplandoli, non con i sensi, ma con qualcosa di analogo. Di nuovo, per altri l’intuizione produce i numeri e ne coglie le proprietà in modo diretto, immediato, come una scorciatoia attraverso le lungaggini della logica. Ma a prescindere da queste elucubrazioni filosofiche, l’intuizione matematica non riguarda solo i numeri, è una capacità che si sviluppa studiando e familiarizzandosi con la matematica in tutti i suoi aspetti, dai calcoli alla soluzione di problemi; è la sensibilità per il comportamento dei simboli, e le loro leggi formali, che permette quasi di prevedere l’esito dei calcoli. È paragonabile piuttosto alla competenza del critico d’arte, alla sua capacità di cogliere i diversi stili dei diversi artisti, in pittura come in musica. L’intuizione è una raffinatezza che si affianca e si sposa con l’altra raffinatezza necessaria, quella logica, ed entrambe sono necessarie per apprezzare la matematica. Anche gli studenti devono coltivare e sviluppare questa capacità».

Raccontare la matematica risponde anche all’esigenza di un approccio umanistico-filosofico alla matematica. Perché è importante questa impostazione, spesso trascurata?
«La matematica è sempre stata nella nostra cultura legata alla filosofia: l’estensione della materia è data dall’accostamento di atomi o è infinitamente divisibile? Come si fa a parlare, paradossalmente, della velocità in un istante? La natura segue sempre la via più breve? Come si misura l’infinito? Questioni che hanno portato a inventare potenti teorie e strumenti matematici, perché la matematica non consiste di calcoli e neanche solo di algoritmi, ma di idee, e idee grandi che hanno plasmato la visione scientifica. La matematica deve essere insegnata e raccontata mostrando insieme le domande che si sono poste e le risposte che sono state date. Se si propongono solo ricette è naturale che si incontri disgusto e rifiuto».

Il mondo fisico è descritto da strutture e teorie matematiche eleganti e di grande bellezza, che hanno una loro logica interna precisa ed esigente. La matematica è la chiave per comprendere l’origine dell’universo?
«Per comprendere l’universo sì, la sua origine è forse un mistero più difficile; la matematica è piuttosto l’unica chiave che abbiamo, nel senso che ogni spiegazione che cerchiamo di dare, per esempio sulla struttura della materia o sulle forze fisiche fondamentali si esprime inevitabilmente attraverso immagini e concetti che sono matematici. Ed è importante riconoscere che sono belle, oltre che utili, anzi che plasmano il nostro senso estetico. I frattali sono un contributo recente di questo tipo».

La perfezione matematica, i numeri, sono stati spesso associati alla perfezione divina o alla creazione. Che cosa pensa di questo approccio mistico-teologico alla matematica?
«Il legame con il sacro è un accidente storico, anche se di lunga durata; nell’antico Egitto erano i sacerdoti i depositari delle conoscenze, e Pitagora ha imparato dagli egiziani. Non è possibile che si ricrei quel clima e non se ne vede la necessità. Anche perché quando si è andati oltre Euclide si è visto che la matematica era lungi dall’essere perfetta, era spesso un esperimento, e confuso e provvisorio. Già i Greci dopo Pitagora comunque, mettendo la dimostrazione alla radice della matematica la hanno resa indipendente e autonoma, anche se insistendo sulla sua natura perfetta e separata dalla realtà deperibile non le hanno fatto un buon servizio: la matematica non è qualcosa di divino, bensì del tutto umana, e solo questa convinzione può aiutare a superare eventuali pregiudizi e paure. Nell’Europa moderna sono state le necessità dell’economia e della scienza della natura che hanno dato l’impulso alla crescita impetuosa della matematica. La matematica è al servizio dell’uomo e da usare, non contemplare».

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Commenti (2)

  1. salvatore lai ha detto:

    Ho 50 anni e da quattro anni fa ,così per provare a risolvere un esercizio di algebra,ho ripreso a studiare la matematica di base per le medie e poi appassionandomi o proseguito con quella per le superiori (nello specifico tecnico industriale,elettrotecnica ).Ora sono sulle matrici e le affinità. Purtroppo per la stanchezza e il lavoro non o molto tempo per essere costante in questo studio.Quello che un po mi tormenta è il dubbio di perdere tempo in qualcosa che non mi serve ne nel loro ne nella vita ma al cui fascino non posso resistere.Ho la sensazione che se non imparo ed e non mi impegno a risolvere gli esercizi

    • salvatore lai ha detto:

      Accidenti.Mi e partito il commento senza averlo concluso.Volevo concludere che se non studio la matematica mi sembra che qualcosa nella mia testa muoia.

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