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27 Maggio 2015

Le città come i sogni: i centri indipendenti di produzione culturale

Nel pomeriggio un incontro per parlare di come si può creare cultura in modo innovativo grazie ai giovani e al territorio

Claretta Caroppo

L’appuntamento oggi al Campus Luigi Einaudi

Oggi alle 14.30 al Campus Luigi Einaudi di Lungo Dora Siena 100 si terrà la presentazione del volume Torino Creativa – I Centri Indipendenti di Produzione Culturale sul territorio torinese, in cui gli autori Enrico Bertacchini e Giangavino Pazzola hanno analizzato nuovi modi di produrre cultura da parte di realtà slegate da contesti conosciuti, in Italia e nello specifico a Torino, attraverso metodologie inedite e potenzialmente ricche di valore, che prendono un avvio ”dal basso” e, per la maggior parte – dall’iniziativa giovanile autorganizzata, determinando un approccio innovativo al modo di abitare la città.
Come è cambiato lo spazio urbano contemporaneo? E i giovani cosa devono aspettarsi per il futuro? I due autori hanno risposto alle nostre domande.

Da cosa sono caratterizzati i centri indipendenti?
Enrico Bertacchini: «I centri indipendenti di produzione culturale sono spazi di socialità, di protagonismo giovanile, di pratiche culturali e artistiche sperimentali che uniscono nella loro programmazione il grande capitale culturale dei giovani, l’innovazione e il territorio. Sono esperienze di partecipazione al processo creativo e di riappropriazione collettiva di luoghi spesso abbandonati e sottoutilizzati che, nascendo dalla volontà dei singoli e attraverso processi decisionali partecipati e “dal basso”, tentano con la creatività di accendere delle luci su quelle porzioni di città che, spesso, si trovano a dover fare i conti con la preziosa e gravosa eredità delle architetture industriali e con lo sfaldamento del tessuto sociale ed economico di quei “luoghi del quotidiano”. Sono spazi culturali emergenti progettati e gestiti da singole persone e organizzazioni che, attivando dinamiche di formazione dell’identità sociale e culturale dei luoghi, costruiscono nuovi significati ed economie attraverso pratiche alternative nei campi della creatività e della cultura. Questi luoghi rappresentano un patrimonio significativo nella catena del valore del sistema produttivo locale e una risorsa nei processi di autodeterminazione dell’individuo e della società. I centri indipendenti sono rappresentati da quelle organizzazioni culturali che si discostano da quelle diventate più istituzionali sia attraverso il mercato, il coinvolgimento del settore pubblico o la legittimazione culturale».

Com’è costituita la loro varietà culturale?
Giangavino Pazzola: «La varietà culturale dei centri indipendenti è molto ampia e, nonostante una forte specializzazione in diversi settori della produzione di cultura, la loro attività investe spesso i più vari campi della creatività. Musica, arti performative, arti visive; ma anche moda, cinema e design offrono maggior possibilità di sperimentare dal vivo e realizzare sul territorio dei momenti culturali, di interazione tra professionisti e di relazione con i pubblici, oltre che di ricerca di nuovi percorsi di creatività artistica e di linguaggi. Attraverso pratiche di partecipazione e inclusione, queste esperienze tentano di ripensare il proprio agire quotidianamente costruendo nuovi paradigmi del lavorare assieme e generare valore economico, del fare rete con altri gruppi di creativi e semplici cittadini che operano in ambito artistico e culturale, condividendo un sistema valoriale e ideologico che cerca di dare un nuovo significato al mercato e alle relazioni economiche. Se si accetta la prospettiva per cui la cultura può essere considerata una risorsa che contribuisce in maniera significativa allo sviluppo e alla crescita economica locale, questi luoghi rappresentano la richiesta di diritti nella città contemporanea, riattivano il territorio a partire dalle energie presenti in loco, che interpretano la cittadinanza come un meccanismo discorsivo potente, che sposta il significato della cittadinanza dall’essere un dato statico a essere un atto performativo».

Come hanno agito e ancora agiscono questi centri nei mutamenti dello spazio urbano e nello specifico di Torino?
E.B.: «I centri indipendenti di produzione culturale sono l’evidenza di una metamorfosi della configurazione dello spazio urbano, dei flussi di persone che si verificano al suo interno e delle relazioni tra individui, dei sistemi di produzione culturale che portano alla sperimentazione di nuove forme di appartenenza, di una nuova coscienza ecologica che si sta sviluppando in reazione alla speculazione immobiliare. Una complessità che rende difficile l’interpretazione del cambiamento e delle trasformazioni in atto con gli strumenti di lettura attualmente forniti dall’economia di mercato. Una pluralità di valori esperienziali, talvolta inconsapevoli, che interagiscono con la dimensione delle politiche di rigenerazione urbana e che emergono attraverso la forte unione dei singoli nelle attività, che con il loro contributo motivano l’esistenza stessa dei centri e delle qualità del singolo individuo nella società».

Quali credete possano essere le politiche urbane che possano agevolare la produzione culturale indipendente?
G.P.: «Stiamo parlando di un ecosistema vario, nel quale è necessario stimolare una concreta riflessione sui cambiamenti e sulle innovazioni che si possono prospettare per rendere un sistema frammentato e discontinuo più produttivo, sostenibile ed efficiente. Disegnare strumenti che favoriscano la crescita delle organizzazioni tuttavia non è semplice, poiché è necessario sottolineare che la condizione di indipendenza della produzione culturale può essere interpretata e vissuta in diversi modi dagli operatori, rendendo difficile immaginare un unico modello di sviluppo dei Centri intorno al quale immaginare proposte di policy. Abbiamo riscontrato tre modalità di sviluppo dei centri, che abbiamo rinominato traiettoria dell’impresa culturale, dell’attore sociale e della piattaforma di pratiche artistiche. Nel primo caso i principali strumenti di policy da adottare sarebbero quelli relativi alla sfera delle politiche per l’innovazione e per le imprese creative. Nel caso delle traiettorie di sviluppo per i centri che definiamo “dell’attore sociale”, le politiche dovrebbero favorire la sostenibilità e l’operatività delle organizzazioni nella loro fornitura di beni e servizi pubblici attraverso, ad esempio, strumenti di finanziamento, misure per la semplificazione amministrativa o concessione di spazi pubblici. Nell’ultimo caso, quello forse più distante alle dinamiche di mercato, potrebbero risultare utili principalmente delle politiche culturali che favoriscano lo sviluppo della domanda culturale, l’emersione dei giovani talenti e maggiori sinergie con i sistemi di formazione in ambito culturale, al fine di creare nuove opportunità di sperimentazione e innovazione nei linguaggi e pratiche artistiche».

Centri indipendenti e innovazione culturale, come vedete il futuro per i giovani?
E.B.: «Calvino scriveva: “È delle città come dei sogni: tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure”. Il futuro dei giovani deve essere consapevole delle possibilità e dei limiti del nostro tempo. Tuttavia essi non devono perdere la capacità di immaginare la bellezza nelle città. Se questa può essere raggiunta attraverso la realizzazione dei propri desideri, tanto meglio».

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Categorie: Cultura

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