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22 Ottobre 2015

I mille volti del popolo Yanomami

C’è tempo fino a venerdì 30 ottobre 2015 per vedere alcune straordinarie immagini che raccontano la vita del popolo Yanomami del Brasile scattate dal fotografo Daniele Romeo

Claretta Caroppo

Mostra Yanomami Tribes

La mostra Yanomami Tribes – 50 anni di Missione a Catrimani esposta fino alla fine del mese all’interno del chiostro del Santuario della Consolata di Torino e presto in altre città del Piemonte e della penisola, racconta quello che sta tristemente accadendo agli Yanomami nell’Amazzonia brasiliana, tribù di cui si conosce ancora poco. Abbiamo chiesto a Daniele Romeo di raccontarci di questo incredibile popolo, della sua avventurosa esperienza e di cosa si augura rimanga impresso ai visitatori della mostra. È possibile visionare le fotografie e il video documentario tutti i giorni dalle 09.00 alle 12.30 e dalle 15.00 alle 19.30, l’ingresso  è gratuito.

Cosa sta accadendo oggi agli Yanomami nell’Amazzonia brasiliana?
Oggi in Brasile sopravvivono allo sterminio dei conquistatori circa 735 mila Indigeni suddivisi in 235 popoli, con 180 lingue diverse. Lo Stato di Roraima è localizzato nell’estremo Nord del Brasile, nella regione conosciuta come Amazzonia Settentrionale, che comprende la foresta amazzonica e la savana, al confine con il Venezuela e la Guyana. La popolazione totale Yanomami (Brasile e Venezuela) è di circa 34.000 persone. La Terra Indigena Yanomami (TIY) in Brasile è abitata da circa 22.000 persone, divise in 285 comunità. Gli Yanomami sono un popolo che gli antropologi definiscono forse il più primitivo della terra, con una cultura e uno stile di vita databili al neolitico, a circa 12.000 anni fa.
Personalmente credo che ci sia un fattore inevitabile nella distruzione delle società tribali. Quello che sta accadendo oggi agli Yanomami nell’Amazzonia brasiliana, come ad altri popoli indigeni nel mondo, è uno sterminio silenzioso, lento e deliberato a causa del furto delle terre, dell’estrazione indiscriminata di minerali pregiati, dello sfruttamento selvaggio delle risorse del territorio e della biodiversità. Alcuni rappresentanti dei governi brasiliani e degli amministratori locali di Roraima sostengono che questa sottomissione violenta sia una triste conseguenza dell’evoluzione e del progresso. È degli ultimi giorni la notizia di un gruppo Yanomami totalmente isolato del quale non si hanno più notizie. Da indiscrezioni che circolano tra le persone vicine agli Yanomami pare che i cercatori d’oro abbiano occupato una regione molto prossima a loro, nella terra indigena, e da perlustrazioni aeree recenti pare che la loro casa comune (Maloca) sia vuota, il che indica che probabilmente sono fuggiti o sono stati attaccati.

Cosa ti ha spinto a voler documentare, con fotografie e video, la storia di questo popolo?
Conoscevo da tempo il tema della causa indigena Yanomami ma sono venuto in contatto diretto con alcuni protagonisti di questa lotta grazie ad una onlus di Torino, il CO.RO, Comitato Roraima Onlus http://www.giemmegi.org/. Ho collaborato con loro e con un Missionario che vive da anni tra gli indigeni e si occupa di digitalizzare decine di cassette magnetiche contenenti riti sciamani, suoni, canti, racconti. Dopo mesi di ricerche, studi e letture, lo scorso ottobre ho capito che era il momento di vivere un’esperienza diretta con gli Yanomami per poter realizzare un reportage fotografico che potesse servire soprattutto a sensibilizzare le persone sul tema di questa lotta e di questa causa. Grazie alla collaborazione del CO:RO http://www.giemmegi.org/ e al supporto dei Missionari della Consolata che hanno una Missione (Catrimani) da 50 anni, dal 1965, nel mezzo della foresta amazzonica in Roraima, sono riuscito a partire e a trascorrere alcune settimane con loro. Quando sono arrivato in Roraima, a Boa Vista, una parte di me considerava l’estinzione degli Yanomami come una situazione di fatto, tragica ma inevitabile. La mia permanenza tra loro era forse una delle ultime opportunità per poter documentare le fasi finali dell’esistenza di un popolo e della sua originalità, convinto che il contatto con il mondo occidentale potrà condurre alla sua distruzione. Ho quindi realizzato questo reportage fotografico viaggiando in Roraima, Brasile, al confine con il Venezuela dove vivono molte comunità di indios Yanomami.

In che modo ti sei rapportato con la popolazione locale?
Io non sono un antropologo e le parole e le immagini in mostra al Santuario della Consolata vanno lette come un racconto etnografico e visivo. Per arrivare alla Missione di Catrimani, si sorvolano circa 350 chilometri di foresta e si deve atterrare su una minuscola pista, spesso non praticabile a causa delle piogge equatoriali. Atterrare su quella pista e trovarsi dopo circa 1 ora di volo proiettato in un mondo lontano migliaia di anni circondato dagli sguardi curiosi di decine di bambini credo sia stata una delle esperienza più forti e incredibili della mia vita Ho scoperto un popolo cordiale, socievole e desideroso di scoprire l’altro. Ho trascorso con loro momenti di caccia, pesca, festa fuori dalle loro maloche nella più cupa oscurità, coperti da cieli stellati dalla limpidezza estrema e illuminati solo dalla luce della luna e dai racconti tradotti per me dal missionario frate Carlo Zacquini, che mi ha accompagnato per tutto il percorso. Credo di aver costruito con loro un rapporto di reciproco rispetto e fiducia, che consisteva soprattutto nel non invadere le loro vite usando violenza attraverso le macchine fotografiche. Gli Yanomami hanno un rapporto particolare con la fotografia e la cosa più complicata è stata proprio far capire loro le finalità della mia presenza e del mio documentario; mi sono limitato a raccontare attraverso le immagini le loro vite, la loro quotidianità, in maniera semplice e originale. Anche per questo motivo solo alcune delle centinaia di immagini scattate saranno rese disponibili e solo alcune sono visibili nella mostra in corso.

Cosa ti ha colpito maggiormente?
Sono moltissime le cose e le domande che un’esperienza di questo tipo genera, a tutti i livelli. La prima cosa che mi ha colpito e che ho apprezzato dopo poche ore di permanenza in quei luoghi è stato scoprire come sia possibile che nel 2015 e a distanza di poche migliaia di chilometri da casa ci siano popolazioni che vivono un’esistenza così normale, serena, minimalista (naturalmente al netto delle minacce quotidiane a cui sono soggette)  completamente diversa per ritmo, assurdità quotidiane, vizi, banalità, che invece caratterizzano le nostre vite. L’avere con me un telefono satellitare mi è sembrato ad un certo punto assurdo e fuori luogo se non addirittura “fuori tempo” se non fosse che ne avevo bisogno per motivi personali. Mi sono chiesto se non fosse il caso di lasciarli in pace e permettere loro di seguire la loro lenta e comunque inesorabile evoluzione, ma, a pochi chilometri di distanza, ci sono multinazionali, aziende minerarie e altre decine di entità che minacciano e cercano di liberarsi di questa popolazione. Mi sono anche chiesto quanto potrà durare questo loro isolamento e cosa ne sarà della loro storia, del loro patrimonio culturale, cosa sarà dei territori che ho visitato quando gli ormai anziani missionari che affiancano gli indigeni nella difesa della loro sopravvivenza, della loro terra e della loro cultura, minacciate continuamente dall’avidità dei bianchi, non saranno più lì a difenderli.

Cosa ti auguri rimanga impresso agli spettatori, anche giovani, della mostra?
Le immagini del mio reportage raccontano la vita, le tradizioni e soprattutto i volti del popolo Yanomami e sono state realizzate con l’obiettivo di sensibilizzare i visitatori su quello che sta ancora accadendo oggi a questo popolo. È molto importante che soprattutto i lettori più giovani possano, attraverso la forza di queste immagini, trovare ispirazione per approfondire il tema della lotta indigena per la sopravvivenza. Sono cosciente del fatto che il tema possa sembrare lontano anni luce dalla nostra quotidianità e apparire quasi astratto e surreale. Credo, però, che le giovani generazioni, con la forza del loro mondo sociale e digitale, possano dare un contributo importante alla diffusione della causa e possano far sentire la loro voce  ai grandi della terra e ai governi brasiliano e venezuelano. Invito sicuramente questi ragazzi a fare un salto al Santuario della Consolata a trascorrere 30 minuti davanti alle mie immagini per poter vedere i volti di questo popolo. Personalmente sto portando avanti il mio progetto di reportage e documentazione fotografica. Tornerò tra gli Yanomami di altre aree e se qualcuno fosse interessato a conoscere i progetti e mettere a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per la causa può contattarmi liberamente. Colgo l’occasione per segnalare ancora gli amici del CO.RO. e ringraziare i Missionari che della difesa del popolo Yanomami hanno fatto una ragione di vita.


 

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Categorie: Cultura

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