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31 Marzo 2016

Scienz(i)a.TO: pianeti nani, cellule artificiali e robot italiani

Nel nostro spazio dedicato alla scienza del mese un nuovo corpo celeste nel Sistema Solare, il minimo set possibile di geni e una macchina in grado di superare gli ostacoli

Andrea Di Salvo

Bentornati alla nostra rubrica che racconta le più interessanti o curiose scoperte scientifiche dell’ultimo periodo. Oggi parliamo di un nuovo pianeta nano e di acqua su Cerere, della cellula artificiale con il minor numero di geni e del primo robot flessibile interamente italiano.

Una rappresentazione del Sistema Solare

Una rappresentazione del Sistema Solare

PIANETI NANI E LEGO
Da marzo la famiglia del Sistema Solare si allarga con l’arrivo del pianeta nano 2012 VP113. Mentre gli astronomi ne cercano un nome meno anonimo, è bene capirne la differenza rispetto a un pianeta come la Terra. Secondo la definizione ufficiale dell’International Astronomical Union (Iau) del 2006, un pianeta del Sistema Solare è tale se rispetta tre condizioni: deve orbitare intorno al Sole, avere una massa sufficientemente grande – abbastanza da raggiungere una forma quasi sferica – e non vi devono essere altri oggetti nei dintorni della sua orbita. Questi sono i motivi per cui Plutone è stato declassato a pianeta nano, in aggiunta alla sua provenienza. Sì, perché i pianeti del Sistema Solare infatti si sono formati tutti al suo interno, mentre quelli nani hanno un’origine esterna a esso e sono stati catturati successivamente dalla possibile interazione con pianeti più massivi. Potrebbe esserci un nono pianeta, di dimensioni nettuniane e con massa pari a 10 volte quella della Terra, in grado di modificare l’orbita di questi oggetti per spingerli all’interno del nostro sistema stellare.
Essi sono interessanti da studiare perché ci raccontano la storia della formazione del nostro sistema. Di recente, la sonda Dawn ha scoperto acqua sulla superficie del pianeta nano Cerere, osservata grazie alla spettrometro Vir, fornito dall’Agenzia Spaziale Italiana.
A proposito di strumenti: Frans Snik, della Leiden University, ha ricostruito da solo l’European Extremely Large Telescope e il Very Large Telescope. Con i Lego però. Entrambi i modellini stanno attualmente raccogliendo sostenitori presso il sito del produttore danese per potere entrare nel catalogo ufficiale.

La struttura di una cellula

La struttura di una cellula

LA PRIMA CELLULA ARTIFICIALE CON GENOMA MINIMO
Ogni cosa ha un libretto di istruzioni e il nostro, come tutti gli altri esseri viventi, è il Dna, che contiene tutte le informazioni genetiche necessarie al nostro funzionamento. È un sistema ordinato formato dai geni in cui vi sono parti codificanti, detti esoni – cioè le unità che forniscono le istruzioni – e parti non codificanti, gli introni, ma che possono avere funzioni regolatorie. I geni, in numero di 20-25.000, sono raggruppati nei cromosomi, che nel caso umano sono 23. Il numero di unità fondamentali (potremmo definirlo l’alfabeto del Dna) varia tra circa 48 e 250 milioni per ciascun cromosoma. Quasi ogni cellula del nostro corpo contiene tutte queste informazioni all’interno del proprio nucleo, dati necessari per il suo corretto funzionamento e coordinamento.
Sorge spontanea una domanda: qual è il numero minimo di geni necessari per far funzionare una cellula? In studi precedenti si sono paragonati le sequenze genomiche di alcuni batteri, osservando che i geni in comune sono 256. Questo indica teoricamente il numero minimo di geni necessari a un organismo per assolvere alle sue funzioni di base, cioè sopravvivere e riprodursi. John Craig Venter, biologo statunitense già famoso nel 2010 per aver annunciato su Science la creazione di un batterio controllato da un genoma sintetizzato in laboratorio, è tornato da pochi giorni sotto i riflettori per avere riprodotto lo stesso risultato, ma con il set minimo di geni possibili. Da un articolo pubblicato sulla medesima rivista si apprende che Venter e il suo gruppo sono riusciti a far sopravvivere e replicare delle cellule con solo 473 geni sintetizzati artificialmente (in natura il più piccolo genoma è di 525).
Il futuro di cellule programmabili si è dunque fatto più vicino, ma rimangono ancora molte divisioni cellulari in mezzo per padroneggiarlo.

Il robot flessibile realizzato a Pisa

Il robot flessibile realizzato a Pisa

IL ROBOT FLESSIBILE TUTTO ITALIANO
Un gruppo di ricerca guidato da Edoardo Sinibaldi del Centro di MicroBioRobotica di Potedera (Pisa) dell’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) e in collaborazione con la Scuola Superiore Sant’Anna ha sviluppato un prototipo del primo robot flessibile.
Questo modello – la cui tecnologia ora è protetta da brevetto – è in grado di evitare gli ostacoli grazie a un sistema a doppia guida: delle unità collegate a dei supporti flessibili sono in grado di muoversi nello spazio senza necessità di sostegni esterni, ma supportandosi a vicenda durante l’avanzamento del robot. Ciò permette allo strumento di raggiungere il proprio obiettivo evitando gli ostacoli e compiendo traiettorie complesse, caratterizzate da una grande curvatura. Per cambiare la propria rigidezza, la forma viene stabilizzata tramite una coppia di fili elettrici che alimentano dei piccoli blocchi di materiale piezoelettrico – delle dimensioni comparabili con una moneta da un centesimo – in grado di dilatarsi se percorsi da corrente.
Nell’arco di 3-5 anni potremmo vedere i primi modelli implementati per applicazioni specifiche, il cui campo è vasto andando da quello medico all’aerospaziale e al soccorso in ambienti difficili da raggiungere.

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Categorie: Tecnologie

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