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13 Aprile 2016

Tradurre (di nuovo) Il giovane Holden

I significati della terza traduzione di un pilastro della letteratura americana raccontati dal suo curatore Matteo Colombo

Stella Giorgio

Matteo Colombo, traduttore della nuova edizione italiana de Il giovane Holden

Matteo Colombo, traduttore della nuova edizione italiana de Il giovane Holden

Alzi la mano chiunque abbia letto Il giovane Holden. Romanzo simbolo di J.D. Salinger pubblicato in America nel 1951, rimane tutt’oggi un long seller, ossia un libro che registra vendite costanti sul mercato. In Italia esce nel 2014 la terza traduzione ad opera di Matteo Colombo, che proprio di questa sua operazione ha parlato ieri martedì 12 aprile, all’interno del ciclo di incontri dal titolo Sovvertere organizzati dal Laboratorio Manituana (Via Sant’Ottavio, 19).

DOVE VANNO LE ANATRE DI CENTRAL PARK…
La storia di Holden Caulfield la conosciamo: espulso dall’ennesimo college passa qualche giorno gironzolando per la città di New York, accompagnato da un flusso di pensieri che non lo abbandona mai.
Le sue domande imprevedibili (dove vanno le anatre nel lago di Central Park quando d’inverno ghiaccia?), il ricordo dell’amatissimo fratello morto di leucemia, la sorellina Phoebe portatrice di una mistica purezza da proteggere a tutti i costi, sono alcuni tra i temi che ricorrono nelle sue digressioni.
Realistico su molti sussulti dell’adolescenza, Il giovane Holden continua a far parlare e a essere letto in tutto il mondo. La traduzione di un grande classico della letteratura americana di questo calibro allora diventa un atto fondamentale e doveroso, nella misura in cui aiuta la fruizione del testo riavvicinandolo ai lettori e corregge le mancanze storiche della precedente edizione. Proprio attorno alla necessità della sua traduzione e al significato che assume il linguaggio nel celeberrimo romanzo di Salinger si è concentrato l’intervento di Matteo Colombo, 39 anni, traduttore per editoria, cinema e teatro.

IL LINGUAGGIO AL CENTRO
Rilanciare ancora Il giovane Holden e compiere un atto di fedeltà verso il testo originale sono le principali ragioni che hanno guidato la traduzione ad opera di Colombo.
Le differenze macroscopiche riscontrate nella sua operazione rispetto alla precedente traduzione di Adriana Motti sono state proprio dettate dalla ricerca di una maggiore aderenza a determinati tratti del testo, che conformano in maniera immediata anche il profilo del protagonista. Il linguaggio di Holden è fatto di ripetizioni, esitazioni, frasi sconnesse o interrotte a metà, prima tra tutte l’espressione “and all”, che nel testo originale compare circa 140 volte. Essere più fedeli a questi tic linguistici significa riaffermare l’immagine tridimensionale del protagonista, la cui caratterizzazione si basa moltissimo sul suo modo di parlare e sul suo monologo interiore.
«Il linguaggio per Holden- spiega Colombo – è come un amuleto a cui egli si aggrappa per evitare che la realtà si disgreghi totalmente». Non è allora difficile compiere un’opera di assimilazione tra creazione e creatore e vedere nel disagio psicologico, in quella sottile linea che separa la salute dalla malattia mentale, Holden e Salinger insieme, accomunati da sofferenze che si assomigliano.

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Categorie: Cultura, Lavoro

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