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20 Maggio 2016

Marco Dolfin, una vita fra bisturi e nuoto paralimpico

Dopo un incidente nel 2011 la riabilitazione grazie allo sport, dove con caparbia arriva all’agonismo fino al recente Bronzo agli Europei, e il ritorno alla professione di chirurgo ortopedico

Alessia Galli della Loggia

Marco Dolfin è quinto al mondo nei 100 rana di nuoto paralimpico

Marco Dolfin è quinto al mondo nei 100 rana di nuoto paralimpicoM

Chirurgo, nuotatore, marito e papà. Tutto questo è Marco Dolfin, 35 anni, atleta torinese di nuoto paralimpico per la società lombarda Briantea84 e chirurgo ortopedico al San Giovanni Bosco di Torino, dove opera grazie a una speciale carrozzina che gli permette di stare in posizione eretta.
Marco è appena tornato da Funchal (Madeira, Portogallo) dove ha conquistato una medaglia di bronzo ai Campionati Europei IPC, consolidando la sua posizione di quinto al mondo e quarto in Europa nei 100 rana.

Com’è nata la passione per il nuoto?
«Non è stato amore a prima vista. All’età di 5 anni ho provato l’esperienza in piscina, ma fino all’anno dopo non ci ho praticamente più messo piede. Poi ho continuato per 12 anni, ma nulla di impegnativo, giusto due volte a settimana. Dopo l’incidente in moto invece ho cercato uno sport che mi tenesse lontano dalla carrozzina e che portasse dei vantaggi a livello medico. Da lì lo spirito agonistico che fa parte del mio carattere mi ha incentivato a partecipare alle gare, ma è stata un’evoluzione naturale».

Quando hai capito di poter gareggiare ad alto livello?
«Gareggiare fa parte della mia indole: ho provato con il tennis tavolo ma accorgendomi di non essere portato ho rispolverato le mie vecchie conoscenze sul nuoto, concedendomi più tempo per frequentare gli allenamenti e praticare i vari stili: non amo il dorso e il delfino è faticoso, me la cavo meglio con la rana e lo stile libero perché vado più veloce».

Sono più duri gli allenamenti in vasca o i famigerati esami di medicina?
«Il tempo degli esami è passato, ma gli allenamenti quotidiani sono tosti, soprattutto gli ultimi prima di questi Europei: più brevi ma più intensi. Io mi alleno da solo e il vantaggio è che posso gestirmi in maniera autonoma».

Dolfin opera in sala operatoria grazie a una speciale carrozzina verticalizzante

Dolfin opera in sala operatoria grazie a una speciale carrozzina verticalizzante

Seconda convocazione nazionale, appena rientrato dai Campionati Europei in Portogallo. Che emozioni ti hanno dato queste esperienze?
«La prima convocazione era più per un meeting internazionale che per una vera e propria competizione agonistica. Ho preferito l’esperienza di quest’anno perché ero più preparato sia come condizione fisica che mentale. Inoltre i compagni di squadra, gli atleti internazionali e l’organizzazione mi hanno lasciato un bel ricordo».

Ti senti più chirurgo o più nuotatore?
«Entrambi, ma essendo due ambiti così diversi lavoro per compartimenti stagni: in vasca si libera la mente anche se ogni tanto emerge un pensiero rivolto al lavoro. Per fortuna però a casa riesco a staccare del tutto la spina da entrambe le professioni, ad esempio dedicandomi ai miei gemelli o ai lavori domestici».

Come può essere utile lo sport in un percorso di riabilitazione?
«Argomento spinoso, anche per esperienza. Quando si acquisisce una disabilità in seguito a un incidente si può reagire in molti modi: c’è chi si fa prendere dalla rabbia, chi dallo sconforto, ognuno ha bisogno dei suoi tempi. Personalmente ho scelto di praticare sport senza rifletterci troppo, ma è una decisione molto soggettiva. Diventare disabili porta spesso a chiudersi in un universo protetto, ma avendone la possibilità è bene invece uscire da questo guscio e riprendersi la propria vita, perché la vita continua».

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Categorie: Sport

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