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10 Giugno 2016

Balon Mundial, lo sport come inclusione

È ricominciato il torneo calcistico per le comunità migranti diventato ormai un vero e proprio festival: musica, cibo, fair play e incontri contro razzismo e discriminazione

Claretta Caroppo

Balon Mundial festeggia quest'anno la sua decima edizione

Balon Mundial festeggia quest’anno la sua decima edizione

Si concluderà il 17 luglio la decima edizione di Balon Mundial, la coppa del mondo di calcio delle comunità migranti organizzata da Asd Balon Mundial Onlus, associazione che si batte per la prevenzione di fenomeni di razzismo e discriminazione attraverso progetti di inclusione sociale attraverso lo sport.
Ideato nel 2007, la manifestazione è diventata un festival con appuntamenti culturali e momenti di dibattito e quest’anno vede coinvolte 49 squadre, 38 maschili e 11 femminili, tra cui il team Give me 5 Avis Torino, impegnato nella donazione del sangue e nello sport legato al sociale. In campo maschile il 2016 segna il ritorno del Pakistan con una formazione tutta nuova, composta da richiedenti asilo e studenti universitari, e il Gambia, i cui giocatori sono tutti richiedenti asilo sul territorio torinese da pochi anni.
Abbiamo raggiunto al telefono Tommaso Pozzato, Presidente della Onlus Balun Mondial.

Come definiresti Balon Mundial?
«Una festa! Nato come torneo maschile di calcio a 11 tra le comunità residenti a Torino, Balon Mundial è un evento atteso anno dopo anno da tutti partecipanti, dagli atleti e dagli spettatori, capace di creare relazioni durature tra persone originarie di diverse parti del mondo. Balon Mundial è un motore che fa accadere delle cose, che succedono e non si fermano più: mano a mano e nel corso degli anni sempre più squadre hanno chiesto di partecipare e di dialogare utilizzando il linguaggio universale dello sport».

Come agisce la vostra associazione?
«Noi creiamo le condizioni perché parta questo motore: le squadre di comunità si riuniscono e si danno appuntamento sui campi e questo ha in primo luogo grandi ricadute sulle comunità che trovano motivi per incontrarsi, creando scambi transgenerazionali: gli adulti si occupano della parte dirigenziale e dialogano con i giovani atleti, con le famiglie, le comunità, i bambini che sostengono le tifoserie. Visti i flussi dei rifugiati richiedenti asilo, questo è un piccolo miracolo, perché con la scusa di giocare a calcio gli individui si conoscono e si sostengono tra loro, con un effetto a spirale che genera comunità. Si creano dei rapporti umani che non sono assolutamente scontati, così come una serie di legami interculturali e intergenerazionali».

Balon Mundial non è però l’unico progetto della vostra Onlus.
«Sì, da quando è nata l’associazione abbiamo portato avanti 15 progetti negli ultimi due anni. Balon Mundial ha cadenza annuale, ma promoviamo altre attività. Cuori d’aquila, ad esempio, si rivolge ai richiedenti asilo, ai rifugiati umanitari e politici fuoriusciti dai programmi di sostegno o ancora inseriti in progetti di accoglienza. Anche in questo caso il calcio è usato come cura e prevenzione dei malesseri psico-fisici, creazione di dinamiche relazionali sane: non c’è alcuna selezione di livello calcistico all’ingresso, ma i partecipanti devono seguire un codice etico. L’obiettivo non è giocare a calcio, ma usare il calcio per raggiungere nuovi obiettivi, proporre percorsi di inserimento lavorativo, momenti di formazione. Un altro dei nostri progetti si chiama Cricket Mundial ed è destinato a comunità migranti e gruppi di rifugiati provenienti da India, Pakistan, Bangladesh, Afghanistan, Sri Lank, dove il cricket è sport nazionale. È una bellissima esperienza, con giochi itineranti e poi un campionato, che replicheremo speriamo presto, per promuovere questo sport tra i più diffusi al mondo e ancora così poco conosciuto in Italia, sempre nell’idea dello sport come strumento d’identità culturale e di abbattimento di certe barriere».

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Categorie: Intercultura, Sport

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