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22 Giugno 2016

Twitch, la nuova frontiera dello streaming web

Uno degli italiani più popolari della community ci racconta come la piattaforma di videogiochi sia diventata qualcosa di più, sempre a cavallo fra vita reale e virtuale

Alessia Galli della Loggia

Lo streamer torinese Simone Aru

Lo streamer torinese Simone Aru

Una piattaforma di streaming legata ai videogiochi, di proprietà di Amazon, sta spopolando tra i giovanissimi: si chiama Twitch e per saperne di più intervistiamo uno streamer torinese con migliaia di visualizzazioni e follower, Simone Aru, 23 anni.

Come hai conosciuto Twitch?
«Lo conobbi circa 2 anni fa mentre cercavo un sito per vedere in diretta l’Electronic Entertainment Expo, il principale evento del settore. Sullo schermo, oltre ai vari siti di testate videoludiche, apparve questo Twitch.tv. Incuriosito, dopo alcune ricerche ho scoperto che era una piattaforma che ospitava solo dirette streaming, per lo più legate a tutorial di videogiochi: in pratica si vedono in diretta le persone che giocano».

Videogiochi ma non solo: raccontaci di QueiBraviRagazzi…
«QueiBraviRagazzi, chiamato da noi QBR, nasce inizialmente per unire quattro community di altrettanti streamer italiani e visto che nessuno in Italia aveva pensato a un talk show sulla piattaforma, abbiamo deciso di provarci noi. L’idea era di portare non solo contenuto videoludico, ma fare informazione su quello che succede nel mondo, il tutto condito in salsa comica. QBR potremmo definirlo un Striscia la Notizia-Le Iene di nuova generazione e, nonostante sia un progetto molto ambizioso, sta prendendo forma. Al momento abbiamo una collaborazione con Moba community, il primo eSports bar della città che organizza tornei, e Nvidia Italia, la grande azienda produttrice californiana. A Twitch Italia serve qualcos’altro oltre ai videogame».

Dipendenza, isolamento, aggressività, crisi di identità: sono alcuni dei rischi legati alla dipendenza da videogiochi. Come evitare questi eccessi?
«In base alla mia esperienza da videogiocatore i videogiochi non sono quasi mai la causa, ma l’effetto dovuto alla difficoltà di un individuo a socializzare o a chi ha problemi in famiglia. In base alle stime, chi viene isolato dai compagni di scuola tende a vedere nel videogioco l’unica via di fuga e finisce per diventarne dipendente. Lo stesso vale per quanto riguarda l’aggressività: la persona in questione non riesce a sfogarsi adeguatamente e cerca un diversivo per liberare la propria rabbia. Io sono un giocatore ma ho molti amici con cui esco a divertirmi e sui quali so di poter contare, sono anche fidanzato da 5 anni. Lo dico perché appunto i videogiochi non sono il male, ma nemmeno un mondo in cui rintanarsi. Quello che consiglio è che videogiocare deve solo rimanere una passione».

Vita reale e realtà virtuale, come vanno gestite secondo te?
«Prendiamo ad esempio una persona che ha una doppia identità nella vita reale: al mattino si sveglia, va a lavorare, ha una famiglia, dei figli… Nella realtà virtuale invece può essere una spia che per conto del governo deve sventare un attentato terroristico, oppure un cavaliere vagabondo pronto a salvare una principessa dal fantomatico drago, o un soldato deciso a sconfiggere gli alieni che minacciano la Terra. Gestire le due realtà è come quando viaggi e scopri un paese migliore rispetto a quello in cui vivi, ma sai di avere un biglietto di ritorno col quale rientrare alla realtà di tutti i giorni. Nella sfera virtuale, però, non puoi prendere il biglietto di sola andata. Ed è appunto questo il modo per gestire le due realtà: scinderle. Prendo ad esempio la trama di Final Fantasy VIII, una popolare serie giapponese di giochi di ruolo: il protagonista deve imparare che se c’è qualcosa per salvare il mondo, questa è l’aiutare e il saper amare. Un grande insegnamento. L’arma a doppio taglio della realtà virtuale è che per certi aspetti contribuisce a definire quello che effettivamente sei nella vita reale, ma lo fa con un maggior impatto emotivo, a cui non bisogna far prendere il sopravvento».

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Categorie: Tecnologie

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