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23 Giugno 2016

Dall’Afghanistan a Torino per un futuro migliore

Morteza Noori, centrocampista al torneo Balon Mundial, racconta la sua storia a Digi.TO: dalla guerra nel suo paese al lavoro come idraulico in proprio in Italia

Alessia Galli della Loggia

Morteza Noori, afghano, è un appassionato della natura

Morteza Noori, afghano, è un appassionato della natura

Dopo alcune peripezie per trovare un punto di incontro alla Pellerina, ecco che compare sorridente, in abbigliamento sportivo, con gli occhiali da sole a tener fermi i ricci ribelli. Morteza Noori è afghano, ha 26 anni e partecipa con una squadra di connazionali e italiani a Balon Mundial, il torneo internazionale di calcio per comunità di migranti. Ha una storia di coraggio e riscatto da raccontarci.

PAKISTAN, IRAN, TURCHIA E GRECIA
Morteza ha lasciato il suo Paese per una ragione facile da immaginare: «La guerra – dice con tono amaramente sarcastico – Non so se ne hai sentito parlare». A 8 anni, quando i russi decidono di bruciare vivi i suoi nonni, capisce di dover andarsene. La meta è il Pakistan e dopo un viaggio fatto a piedi di nascosto dai talebani arriva nella città di Quetta. La necessità di trovare lavoro lo porta a intraprendere un altro estenuante viaggio per l’Iran, dove rimane per otto anni a lavorare in nero come metalmeccanico nella città di Esfahan. «L’Iran al tempo godeva di uno sviluppo tecnologico maggiore rispetto agli Stati con cui confina – dice – ma le rigide leggi non garantivano protezione agli stranieri. Hanno diritti da terzo mondo», sostiene Morteza.

Ancora una volta l’unica speranza sembra la fuga: attraversa il confine tra l’Iran e la Turchia a piedi, a dorso di un mulo nei giorni più fortunati. Ma la sete, la fame e la fatica non sono gli unici ostacoli… Il rischio maggiore sono i pirati, che assalgono i gruppi di migranti, depredandoli e malmenandoli nella migliore delle ipotesi, altrimenti torturandoli fino alla morte. «Eravamo un centinaio, sta di fatto che non sempre il gruppo arrivava integro, senza perdite, a destinazione… comunque eravamo tutti giovani, dai 16 ai 25 anni, ma alle volte partono anche anziani e orfani». Raggiunto il confine, resta il viaggio per Istanbul: 34 ore nascosto sotto un camion caricato sul traghetto diretto al porto della capitale turca. Se la polizia lo avesse scoperto sarebbe stato rispedito in patria, “prima però mi avrebbero torturato», aggiunge.

Arrivato al porto di Istanbul, deve trovare il modo per trasferirsi in Grecia: «Eravamo una decina di persone in un piccolo gommone, è stata la prima volta che ho visto il mare. Non sapevo nuotare, mi hanno dato un remo in mano e ho sperato di non finire in quelle acque tanto affascinanti quanto pericolose». Ad Atene lavora per guadagnarsi i soldi necessari a coprire le spese per il viaggio in Italia, sempre sottopagato, sempre in nero: «Raccoglievo patate, cipolle… passavo le giornate a lavorare nei campi… a me piace stare all’aria aperta… ma quei campi sembravano delle gabbie».

L’ARRIVO IN ITALIA E A TORINO
Una volta ottenuta la cifra necessaria, Morteza tenta ancora una volta la fortuna nascondendosi sul traghetto diretto a Bari, in un altro camion all’insaputa di tutti. «A un certo punto ho sentito il furgone mettersi in moto e ho capito che ci stavamo allontanando dal porto. Allora ho aspettato che si fermasse per poter scendere senza farmi vedere dall’autista, ma non è servito a molto perché poco dopo mi ha fermato un poliziotto. Ero tutto sporco, sarebbe stato difficile non notarmi».

La polizia italiana decide di portare Morteza in una comunità per minorenni, dove trascorrerà un anno e mezzo, il tempo di prendere la licenza di terza media e di ottenere il permesso di soggiorno. Quando a Bari svaniscono le speranze di trovare lavoro, il giovane afghano si trasferisce da alcuni amici a Milano. «La città non mi piaceva. Non avevo troppe pretese, ma avevo sentito parlar bene di Torino e infatti quando sono venuto qui me ne sono innamorato. Sembra banale, ma lo penso davvero. Inoltre Torino mi ha portato fortuna. Ho frequentato un tirocinio di idraulica e da 3 anni mi sono messo in proprio. Mi piace il mio lavoro, la ditta individuale mi consente di viaggiare e di gestire i vari appuntamenti tra Lanzo, Ciriè e Torino».

STUDIO, LAVORO, SPORT
Adesso, dopo 9 anni trascorsi in Italia, Morteza è alla “terza fase della sua vita”, come l’ha definita lui: studia, lavora e gode della protezione sussidiaria italiana. Frequenta una scuola serale di Ragioneria a Ciriè perché si è preso una casa nelle Valli di Lanzo, da bravo amante della natura. «Quest’anno ho fatto tre anni in uno e sono stato promosso», esclama con orgoglio. Poi torna serio e mi spiega: «Lavoro 9 ore al giorno, torno a casa, doccia veloce, cena, se ho tempo, e la sera sono a scuola… Praticamente non ho più spazio per una vita sociale».

Nel weekend trova comunque il tempo per allenarsi al parco della Pellerina con la squadra partecipante a Balon Mundial: «Abbiamo vinto la prima partita contro il Pakistan, siamo un bel team, misto di italiani e afghani. L’anno scorso abbiamo vinto la medaglia per la nostra sportività, siamo stati la squadra più rispettosa, con minor numero di richiami dell’arbitro». Previsioni per il torneo 2016? «Quest’anno abbiamo giocatori più forti, in media l’età è 20 anni, siamo la squadra più giovane del Balon Mundial Ci sono più studenti che lavoratori, ma io sono entrambi! », sorride. Squadra del cuore? «Non ce l’ho, ma simpatizzo per il Manchester United e il suo storico allenatore Ferguson. Una volta seguivo di più il calcio, adesso lo vedo trasformato più in commercio».

Se tornasse indietro, Morteza sceglierebbe ancora l’Italia: «Tornerei a vivere qui anche dopo aver visitato il mondo, perché sto bene e ci sono cresciuto. Anche se devo ammettere una cosa: qui ci sono democrazia, libertà, valori inestimabili. Ma la famiglia è sempre la famiglia e mi manca, molto». E dopo un momento di commozione riprende a sorridere con una luce che appartiene a chi, nonostante tutto, ha ancora tanta voglia di vivere.

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Categorie: Intercultura

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