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26 Settembre 2018
Cent’anni di capolavori al museo Ettore Fico
Un itinerario artistico condiviso con altre città, volto a ripercorrere più di un secolo d’arte italiana attraverso opere e autori che più hanno influenzato il panorama del nostro paese
Michela Lopriore
C’è tempo fino al 10 febbraio per visitare 100% Italia. Cent’anni di capolavori, una mostra suddivisa fra tre città – Torino (più sedi), Biella e Vercelli – e inaugurata il 21 settembre, che propone all’attenzione del pubblico opere solitamente conservate in collezioni private e difficilmente esposte, al fine di offrire un quadro completo e non ordinario di cosa è stata e continua a essere l’arte italiana dal Novecento fino ai giorni nostri. Un percorso artistico che sottolinea come il nostro paese abbia avuto un ruolo importantissimo nell’ambito della creatività mondiale ed europea e come sia riuscita a offrire, nonostante le due guerre mondiali, grandi personalità artistiche, movimenti e manifesti, con una continuità che non tutti sono riusciti a perseguire.
La mostra si configura come un vero e proprio viaggio nella storia dal primo dopoguerra fino a oggi, proponendo tappe che corrispondono alle correnti in cui l’arte italiana nel corso del tempo si è suddivisa. Noi abbiamo visitato la parte di esposizione ospitata al Museo Ettore Fico di Torino.
IL GRUPPO NOVECENTO
L’itinerario proposto parte con la sezione Novecento, il cui nome corrisponde a quello di un gruppo nato a Milano nel 1922 – e che avrà vita fino al 1931, quando la Quadriennale di Roma ne sancirà la fine – con l’obiettivo di inaugurare una poetica incline al “ritorno all’ordine” dopo le sperimentazioni del Futurismo, cioè a una conciliazione tra le conquiste delle avanguardie e una rinnovata meditazione sull’antico. Tra gli esponenti del gruppo ricordiamo Sironi, Bucci, Dudreville, Malerba, Oppi e Carrà, che cercano di avvicinarsi agli antichi con uno stile sintetico perseguendo la costruzione di una forma solida, volumetrica e lassica.
Lo dimostra ad esempio Nudo Tizianesco (1928) di Oppi, dove il soggetto sebbene non calchi – nonostante il titolo – un nudo di Tiziano, è una libera evocazione di un’atmosfera del passato, o Nudo con bicchiere (1922) di Sironi, forse una delle opere più rappresentative del movimento: la figura un po’ leonardesca per lo sfumato delle ombre viene accostata a elementi poco congruenti con un nudo, come l’arco sullo sfondo o il bicchiere in primo piano che rappresentano quelle forme volumetriche “belle in sé” molto utilizzate dagli artisti del Novecento. Infine Meriggio (1928), di Marussig, che nonostante l’apparenza è la perfetta antitesi di un paesaggio impressionista en-plain air: il dipinto è costruito secondo calcolo e proporzione, il che dimostra quanto la composizione fosse fondamentale per i novecentisti.
CORRENTE
Le cose cambiano con Corrente, la seconda grande sezione della mostra. Nato a Milano nel 1938 intorno all’omonima rivista fondata da Ernesto Treccani, il movimento raggruppa alcuni giovani artisti come Birolli, Guttuso, Vedova, Morlotti e Sassu, accumunati da un espressionismo impostato sul colore e sulla luce e dalla prevalenza dei sentimenti rispetto all’immobilità delle opere precedenti.
Una delle opere rappresentative è Le signorine Rossi (1939) di Birolli, che unisce sinteticamente realismo e visionarietà, staticità e dinamismo: quattro ragazze conversano sedute a un tavolino mentre lontani, sullo sfondo, dei colorati saltimbanchi hanno una parvenza quasi onirica.
ASTRAZIONE E INFORMALE
La terza parte della mostra è chiamata è Astrazione. Qui non è possibile parlare di poetica unitaria, ma piuttosto di contributi diversificati come quello dato dall’astrattismo geometrico, il cui linguaggio tende alla ricerca di equilibri tra composizione e variazione e dove la forma viene intesa come libera da ogni costruzione già determinata.
Infine nella sezione Informale questi equilibri fra segno e materia esprimono la necessità di ritrovare le radici originarie della forma senza alcun canone che possa garantire valori stabili, rimandando a morfologie primordiali, come dimostra ad esempio Attesa (1963) di Franco Garelli.
Queste e altre le opere esposte al Museo Ettore Fico, opere fondamentali per la comprensione del nostro passato, del nostro futuro e della nostra storia.