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11 Ottobre 2018

Coming out Day: a cosa serve uscire allo scoperto?

Trent’anni dopo l’istituzione della ricorrenza scopriamo insieme quale sia il senso di questo gesto e alcuni noti personaggi che hanno deciso di farlo

Giovanni Mauriello

Il coming out di Ellen Degeneres sulla rivista Time

Era l’11 ottobre 1988 quando, negli Stati Uniti, si celebrò per la prima volta il Coming Out Day. Oggi molte cose sono cambiate: sebbene le aggressioni di natura omofoba e transfobica siano purtroppo ancora all’ordine del giorno, la percentuale delle persone che sceglie di uscire allo scoperto e parlare del proprio orientamento sessuale o della propria identità di genere è nettamente aumentata.
Iniziative come il Coming Out Day, che (per fortuna) oggi gode di una certa visibilità anche nel nostro Paese, hanno senza dubbio il merito di creare uno spazio di discussione proficuo e rassicurante, all’interno del quale la comunità Lgbtqi tenta di abbattere quei tabù che ancora oggi inibiscono la vita delle persone non eterosessuali, costringendole spesso al silenzio o all’omissione.

IL SENSO DEL COMING OUT
Il primo ostacolo col quale una persona non eterosessuale si scontrerà nella propria vita, spesso durante quella delicatissima fase che è l’adolescenza, è l’accusa di voler vivere la propria sessualità e affettività per un puro vezzo di egocentrismo, fino a creare un fuorviante binomio tra identità ed esibizionismo.
In realtà, per chi è abituato a vivere a proprio agio tra i margini di qualcosa di “normato” come l’eterosessualità, può essere complesso comprendere l’esigenza altrui di esprimere senza vincoli un’identità che non è prevista da quella stessa norma (che, è bene ricordare, è esclusivamente sociale e culturale). L’identità di una persona è però sfaccettata e negarne un aspetto essenziale come l’affettività, perché non conforme a una regola sociale, equivale a una “castrazione” dal fortissimo impatto emotivo, che nessuno Stato che si dica civile può permettersi.
Tra le righe di questo discorso risiede il senso di iniziative come il Coming Out Day: uscire allo scoperto ha anzitutto un valore privato ma ne ha anche uno pubblico perché le persone gay, lesbiche, bisessuali, transessuali, queer e intersessuali – per una volta concediamoci il lusso di sciogliere questa sigla, indicante gli individui i cui cromosomi e caratteri sessuali non sono definibili come esclusivamente maschili o femminili – devono, qualora siano pronte a farlo, rendersi visibili, perché ciò che è visibile esiste e ciò che esiste deve essere non solo accettato, ma accolto in ogni accezione del termine.

QUALCHE ESEMPIO
Chiudiamo questa riflessione con alcuni dei coming out che hanno avuto più impatto mediatico negli ultimi anni: impossibile non citare l’attrice e conduttrice tv americana Ellen Degeneres, vera pioniera, che nel 1997 si dichiarò lesbica in concomitanza al coming out del suo personaggio nell’omonima sitcom, Ellen, di cui era protagonista. Ne parlò durante un’intervista nel salotto più celebre degli Stati Uniti, quello di Oprah Winfrey.
Un’altra Ellen per un altro coming out che ha fatto storia, stavolta per la sua natura motivazionale e per il forte impatto generazionale: parliamo dell’attrice Ellen Page, che è uscita allo scoperto nel 2014 con un emozionante discorso davanti al pubblico di una conferenza a Las Vegas.
Ultimo, ma non per importanza, l’inaspettato coming out di Neil Patrick Harris, amatissimo dal pubblico per il ruolo di Barney, lo sciupafemmine di How I met your mother. Harris, che ha creato una splendida famiglia arcobaleno col collega e marito David Burtka, ha fatto coming out nel 2006 e in questa intervista rilasciata ad HuffPost discute l’argomento con l’assoluta serenità che lo contraddistingue.

 

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Categorie: Cultura

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