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5 Febbraio 2020
L’esperienza di Agnese: da Torino al Senegal col Servizio Civile
Cosa spinge una ragazza di 26 anni a partire per 12 mesi in Africa? Nel suo caso, provare sul campo come funziona la cooperazione internazionale
Flavia Gotta
La maggior parte dei giovani senegalesi che si trovano a Torino arrivano da Louga, una cittadina a nord di Dakar, vicino al deserto della Mauritania. Agnese Ferrara ha scelto di fare il percorso inverso: da marzo dell’anno scorso vive a Louga, dove sta facendo un’esperienza di Servizio Civile con la ong Cisv nell’ambito della cooperazione internazionale. Tra poche settimane tornerà a Torino.
La intervistiamo a distanza, prima che lasci l’Africa, per raccogliere le sue impressioni a caldo sull’esperienza.
In cosa consiste l’attività che hai portato avanti in questi mesi con il Cisv?
«Come volontaria di Servizio Civile, ho supportato l’equipe locale nelle varie attività all’interno di diversi progetti in Senegal. Ad esempio, con il progetto Paisim che appoggia localmente l’impresa sociale per contrastare la migrazione irregolare, ho potuto conoscere da vicino diverse piccole realtà imprenditoriali impegnate nell’agricoltura, nell’allevamento e nella trasformazione di cereali. Invece con il progetto Parsa, che si occupa della sicurezza alimentare, sono entrata in contatto con gli allevatori di etnia Peul che vivono alla costante ricerca dell’acqua e del mangime per i propri animali nella grande riserva silvo-pastorale del Ferlò. Ho anche collaborato alle attività di animazione in una scuola dell’infanzia in una zona povera di Louga proponendo giochi, canti, storie, disegni e attività per incuriosire i bambini e avvicinarli alla scrittura e alla matematica. Infine sono stata coinvolta in un’analisi dei bisogni dei giovani di Louga e nella formazione agli operatori dei centri d’informazione per i giovani».
Che cosa spinge una ragazza di 26 anni a lanciarsi in un progetto così lontano da casa?
«Dopo una laurea triennale italo-francese in Lingue Applicate e una magistrale in Cooperazione Internazionale, volevo davvero capire sul campo che cosa fosse la cooperazione e come venissero realizzati i progetti che avevo sempre solo visto sulla carta».
Come sei arrivata a scegliere di aderire a questo progetto?
«Avevo maturato l’idea di candidarmi per il Servizio Civile una volta conseguita la laurea, per provare un’esperienza concreta. Individuata l’ong con cui mi sarebbe piaciuto partire, ho scelto Louga con l’idea di essere coinvolta in un progetto di protezione dell’infanzia, tema a me molto caro. In realtà il progetto era terminato poco prima del mio arrivo in Senegal ed è così che mi sono trovata immersa tra microimprenditori rurali e pastori transumanti. Tuttavia i bambini non sono mancati e ho potuto sperimentarmi ugualmente in una scuola dell’infanzia locale».
Ci sono stati dei momenti difficili?
«Non ci sono stati momenti particolarmente difficili e l’inserimento nel contesto, così come nei progetti, è stato graduale. A volte però la lingua si è rivelata un piccolo ostacolo, in particolare a scuola dove i bimbi parlano esclusivamente wolof, che ho imparato a capire nel corso dei mesi. Inoltre la diversa concezione del tempo, che qui scorre molto più lentamente, mi ha spinto a cambiare approccio, altrimenti sarebbe stato semplice a volte perdere la pazienza».
Com’è la vita a Louga per i giovani senegalesi?
«Louga, nonostante i suoi 100.000 abitanti, è considerata un grande villaggio rurale. Spesso i giovani non trovano qui quello che cercano e preferiscono migrare verso le città come Dakar, Thiès, Saint Louis o puntare all’Europa, in particolare all’Italia. Tuttavia sono numerosi i luoghi destinati ai giovani: centri di formazione, culturali e di orientamento, associazioni sportive, consigli di quartiere. Quello di cui i giovani hanno bisogno è piuttosto una formazione professionale qualificante, l’inserimento nel mercato del lavoro, l’accesso al finanziamento e la possibilità di pianificazione la loro carriera».
Cosa ti mancherà del Senegal?
«Mi mancherà la semplicità con cui si possono affrontare i problemi, lo spirito di accoglienza e anche un po’ il lento scorrere del tempo».
Che cosa ti porti a casa da questa esperienza?
«Ho capito che i tempi di un progetto non sono per forza i tempi delle persone. Ho visto la complessità nel portare avanti delle azioni in collaborazione con diversi partner, in cui il punto di vista può essere molto diverso. Ho infine constatato la centralità delle relazioni umane all’interno della cooperazione e mi piace vedermi come tessitrice di relazioni là dove nuovi progetti mi porteranno».