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12 Marzo 2020

Scontri all’Università, la memoria che divide

Il convegno sulle Foibe al Campus Einaudi crea tensioni fra i gruppi studenteschi. Il Rettore: “In Ateneo solo quelli che si dichiarano democratici, antirazzisti, antifascisti”

Vincenza Di Lecce

Campus Einaudi

Fascismo, colonialismo, foibe”: questo il titolo del convegno che il 13 febbraio si svolge nell’aula D5 del Campus Einaudi di Torino. Un dibattito organizzato dall’Anpi torinese a cui partecipa, fra gli altri, anche Moni Ovadia, regista e uomo di teatro impegnato nell’attivismo per i diritti umani. Un momento di riflessione sui tragici avvenimenti del confine italo-jugoslavo e sulle contraddizioni emerse a seguito dell’introduzione della Giornata del Ricordo che scatena scontri fra organizzazioni studentesche e forze dell’ordine, a cui segue una forte presa di posizione da parte della stessa Università. Che cosa è successo?

GLI SCONTRI
Il giorno del convegno, appena fuori dall’aula D5 c’è un volantinaggio di protesta da parte del gruppo studentesco Fuan (Azione universitaria) – organizzazione vicina a Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni – che ha fatto della memoria delle foibe uno dei propri credo politici. “La verità non si infoiba. Sino a quando l’Università organizzerà conferenze e dibattiti che insultano la memoria di migliaia di italiani barbaramente uccisi, noi saremo qui” è infatti quello che si legge nelle aree del Campus, fra poliziotti in tenuta antisommossa. La situazione degenera in breve tempo. Al grido “Fuori i fascisti dall’Università”, non si fa attendere, infatti, la risposta dei collettivi studenteschi di sinistra. Solo una carica delle forze dell’ordine impedisce lo scontro tra i due gruppi.
Il bilancio finale, gravissimo, vede due guardie giurate, tre operatori della Digos e uno del Commissariato rimasti feriti dal tentativo da parte dei gruppi di superare il blocco creato dalle forze dell’ordine, danneggiando anche una macchina della polizia. Quindici poi le denunce e tre gli arresti, per i quali il giudice in seguito predispone la scarcerazione: una ragazza di 23 anni del centro sociale Askatasuna di Torino; un suo coetaneo, anarchico milanese e un’altra ragazza di 27 anni, romana.

UN’AULA SEQUESTRATA
Agli scontri seguono le proteste degli studenti dei collettivi che chiedono al Rettore di assumersi la responsabilità di quanto accaduto. Anche in questo caso però la manifestazione degenera: vengono lanciate uova contro gli uffici del rettorato e si sfonda una porta. A detta poi degli studenti del gruppo Fuan l’aula dedicata al giudice Borsellino e a loro assegnata è “devastata dai collettivi dei centri sociali”.
La stessa aula è successivamente posta sotto sequestro “in questi giorni in cui l’Università è chiusa per l’emergenza Coronavirus”, come si legge sulla pagina Facebook di Collettivo Universitario Autonomo, “approfittando di uno stato di emergenza”.

IL CODICE ANTIFASCISTA PER I GRUPPI STUDENTESCHI
Dopo gli scontri e i disordini avvenuti al Campus, la risposta del Rettore dell’Università di Torino Stefano Geuna non si fa attendere: saranno concesse aule all’interno dell’Ateneo solo ai gruppi studenteschi in linea con il Regolamento delle organizzazioni studentesche, Un codice in cui ogni gruppo dichiara di rispettare i principi di democraticità, libera partecipazione, antirazzismo, antisessismo e antifascismo. Si tratta, in pratica, di un testo già approvato nel 2018, ma che fino a oggi non era obbligatorio sottoscrivere.

IL RICORDO DELLE FOIBE
A dividere è una delle pagine buie della storia del nostro Paese: le violenze e le uccisioni di massa a danno della popolazione – italiana e non – della Venezia Giulia durante la Seconda Guerra mondiale e negli anni immediatamente successivi, che danno voce a visioni contrastanti.
Se per gli studenti del Fuan, infatti, il convegno organizzato dall’Anpi all’Università è definito “giustificazionista”, secondo gli organizzatori sono gli studenti di destra a peccare di “negazionismo”. Una ricerca affannosa di un colpevole e di una parte in cui stare, in cui il ricordo diventa un vero e proprio cavallo di battaglia politico, pretesto per sbandierare il proprio credo.
Rendendo obbligatorio il Regolamento l’Università si pone quindi contro ogni forma di violenza, cercando di agire sul piano culturale e del dialogo. Perché la memoria unisca e non divida.

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