Home » Formazione » Molti giovani medici, poche opportunità di perfezionamento
7 Aprile 2020
Molti giovani medici, poche opportunità di perfezionamento
Una studentessa di Medicina denuncia la disparità tra la quantità di borse di specializzazione e il numero di laureati, problema ancora più grave in questo periodo
Adele Geja
Sono sotto gli occhi di tutti gli enormi sacrifici compiuti da tutto il personale ospedaliero per fronteggiare l’emergenza Coronavirus. Ragionare con “il senno di poi” è inutile, ma ci si può comunque domandare se maggiori investimenti nella sanità, settore bersaglio di pesanti tagli negli ultimi anni, avrebbero consentito una migliore gestione dell’epidemia. Un’altra questione cruciale è la scarsità di fondi annualmente stanziati per le borse di specializzazione rivolte ai neomedici abilitati alla professione: la limitatezza dei posti messi a concorso rispetto al numero dei candidati non permette di formare come specialisti numerosi laureati, in contrapposizione con le necessità della sanità italiana.
Recentemente però, è arrivata una buona notizia: il decreto Cura Italia dello scorso 17 marzo include la norma che rende la laurea in Medicina abilitante alla professione, abolendo l’esame di Stato e immettendo direttamente nel sistema sanitario le competenze dei circa 10.000 medici che secondo le stime conseguiranno il titolo nel 2020.
Tuttavia, rimangono numerose criticità nel sistema di formazione post-laurea dei futuri dottori, come ci ha raccontato S., studentessa al sesto anno di Medicina presso l’Università di Torino.
Qual è il percorso che attende oggi un laureato in Medicina, in seguito ai cambiamenti apportati dal decreto Cura Italia del 17 marzo e quali sono i vantaggi rispetto a prima?
«Grazie al nuovo decreto, con la sola laurea i medici sono considerati abilitati alla professione, senza dover sostenere l’esame di Stato. Inoltre, è possibile già da un paio d’anni eseguire i tre mesi di tirocinio abilitanti durante i sei anni del percorso di studi, mentre in precedenza venivano svolti dopo il conseguimento del titolo. Tuttavia, anche in questo modo i neodottori dovevano comunque aspettare diversi mesi per poter sostenere l’esame, dal momento che c’erano solo due sessioni all’anno per ottenere l’abilitazione. La nuova modalità è molto positiva per noi: si può accedere prima al mondo del lavoro e al concorso per la specializzazione, senza che sia danneggiata la qualità della nostra formazione. Come noi studenti chiedevamo da anni, la nostra laurea è finalmente considerata un titolo abilitante, riconoscendo l’utilità di sei anni di studio ed esperienze in ospedale».
Per i giovani medici rimane però il problema del cosiddetto “imbuto formativo”. Cosa significa nello specifico e che conseguenze ha questo blocco sul sistema sanitario?
«Con “imbuto formativo” si intende la disparità ogni anno tra le 8.000 borse di specializzazione messe a disposizione dal concorso nazionale e i circa 22.000 candidati che si presentano. Tra questi ultimi infatti, non ci sono solo i neolaureati dell’anno in corso, ma anche i cosiddetti “camici grigi”, medici già abilitati e rimasti esclusi dal test negli anni precedenti. Nonostante per costoro ci siano alcune possibilità di impiego a tempo determinato come le sostituzioni di medici di base o le guardie mediche, per ottenere la stabilità lavorativa, nonché una maggiore gratificazione professionale, è necessario specializzarsi. Non riuscire a superare il test è frustrante e sono numerosi i medici che ogni anno scelgono di emigrare per specializzarsi all’estero, lasciando il paese che ha investito nella loro formazione. La necessità degli specialisti è ora più che mai evidente: si è arrivati a riassumere medici in pensione o a mettere in posizioni di grande responsabilità giovani senza la formazione adeguata. Dobbiamo essere fieri del nostro sistema sanitario, perché offre gratuitamente un ottimo servizio a tutti i cittadini, tutelando il fondamentale diritto alla salute che la nostra Costituzione riconosce. Tuttavia, negli ultimi anni la mancanza di risorse sta piegando anche questo bellissimo punto di forza del nostro paese».
Pensi che le grandi difficoltà che stanno vivendo oggi gli ospedali a causa dell’emergenza Coronavirus siano legate al problema dell’imbuto formativo?
«Sì, sicuramente in questa situazione di enorme crisi, che rischia di piegare anche il sistema sanitario più preparato, è emerso ancora di più il problema già esistente della scarsità di medici specialisti. Nonostante l’abolizione dell’esame di Stato per far entrare immediatamente nel mondo del lavoro i miei colleghi già laureati, il grido di aiuto che arriva dagli ospedali più colpiti dal Covid è chiaro: hanno urgente bisogno di anestesisti, rianimatori, infettivologi, pneumologi e altri medici specialisti. Un neolaureato sicuramente può aiutare ma non è formato per ciò di cui si ha davvero necessità ora. Viene naturale però chiedersi se un comportamento più lungimirante negli anni passati da parte delle istituzioni e un maggiore stanziamento di fondi per le borse di specializzazione avrebbero potuto influire positivamente sulla situazione odierna».
Come studentessa di medicina puoi fare qualcosa per aiutare in questa crisi sanitaria?
«Prima dello scoppio dell’epidemia progettavo di laurearmi a luglio, ma per il momento è tutto incerto. Avrei dovuto sostenere gli ultimi esami in questi giorni, ma dato che alcuni dei nostri professori sono impegnati in prima linea nella lotta contro il virus riuscirò a completare il mio percorso solo quando l’emergenza sarà rientrata. Anche tutti i tirocini sono stati sospesi, poiché non è possibile garantirci una piena sicurezza in ospedale. Inoltre, anche se è difficile ammetterlo, saremmo un vero intralcio nella gestione di questa crisi. Non siamo specializzati, saremmo lì solo per imparare, utilizzando i dispositivi di protezione individuale che già scarseggiano per il personale sanitario. Dunque, per il momento l’unico aiuto che mi sento di poter dare è studiare con impegno, per diventare medico al più presto e riuscire così ad aiutare la nostra Italia a rialzarsi domani».