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4 Maggio 2020

Giovani italiani a New York: Loris, imprenditore e creativo

Terza puntata della nostra rubrica che racconta le esperienze di ragazze e ragazzi partiti per andare a studiare o lavorare negli Stati Uniti

Giovani B. Corvino

Foto in bn di uomo calvo con baffi e barba - Loris Pignoletti

Loris Pignoletti ha un’agenzia creativa a New York

Dopo le storie di Simona ed Elisa, continuiamo a intervistare giovani che si sono trasferiti negli Usa incontrando Loris Pignoletti. Dopo aver lavorato in Italia nell’ambito della comunicazione visiva per prestigiosi marchi del Made in Italy, a 27 anni decide di lasciare la sua Padova per fondare un’agenzia creativa, entrando così nel mondo dell’imprenditorialità statunitense. Loris oggi ha 39 anni, vive a New York da dodici e non rimpiange la sua scelta.
Il racconto della sua vita all’estero può essere d’esempio per molti giovani che, spaventati dalle difficoltà che potrebbero incontrare nel gettarsi in una nuova avventura, restano intrappolati nelle loro paure, perdendo così occasioni che non si ripresenteranno più. Lasciamo che sia il nostro intervistato a raccontarci perché si può essere felici anche vivendo lontani dal proprio Paese.

Raccontaci un po’ di te e della tua vita a New York.
«Mi sono trasferito nel 2008, in piena crisi economica. Avevo già esperienza in ambito pubblicitario grazie a delle collaborazioni importanti maturate in Italia, ma volevo “qualcosa di mio”. Oggi il team che dirigo si occupa di branding, digitalizzazione delle imprese, strategie di marketing e molto altro. New York è ormai diventata la mia casa. Non ci ero mai stato prima, ma la città mi ha accolto a braccia aperte, dandomi immediatamente tantissime occasioni. Integrarsi nella società è davvero semplice, nel senso che essendo letteralmente un “porto di mare”, la città ha una grande storia di flussi migratori e di conseguenza accoglie con entusiasmo chiunque venga a tentare la fortuna. L’amministrazione attuale purtroppo ha idee più conservatrici, ma comunque direi che New York tende a non lasciare indietro nessuno. Ovviamente non è tutto “rosa e fiori”. È impossibile lavorare se non si ha un visto adeguato, ma dedicandoci tempo e impegno, si può iniziare quest’avventura. La mia rete di amici è italianissima, mentre quella professionale tende, ovviamente, a essere più americana. La vita e l’energia della città sono abbastanza intense».

Perché hai deciso di partire per gli Stati Uniti e di non restare in Europa?
«Se New York non fosse stata un’opzione possibile, mi sarei probabilmente spostato a Londra o in qualche Stato dell’Europa settentrionale. Ho scelto di lasciare l’Italia perché non sentivo i miei sforzi ripagati, non tanto sul lato economico, quanto sul lato della crescita personale. Avevo bisogno di respirare un’aria di “opportunità” e di “possibilità”. Qui l’ho trovata. Fare impresa a New York è abbastanza semplice. L’importante è rimanere concentrati sui propri obiettivi e quasi automaticamente le cose accadono. Purtroppo, non è stata così la mia esperienza in Italia, dove avevo lavorato come consulente anche per diversi marchi molto affermati. La difficoltà principale era dovuta al carico fiscale e alla macchina burocratica che rallenta pesantemente la crescita economica. Un problema che nessuno sembra riuscire a risolvere».

Cosa ti manca dell’Italia?
«La famiglia. Le facevo visita un paio di volte l’anno, ma ultimamente non ci sono riuscito. Quando riesco, mi piace affittare un appartamento per un mese a Firenze o a Padova e da lì spostarmi secondo le necessità. Mi manca molto anche la quiete generale del territorio, per esempio l’intenso odore di caffè nelle piazze, al mattino presto. Questa è una città che non si ferma né si spegne mai. Nonostante ciò, non c’è mai stato un momento in cui abbia pensato che sarebbe stato meglio lasciarmi tutto alle spalle e tornare in Italia. Alle volte mi domando se sia ancora conveniente vivere a New York, ma credo sia ormai diventata quella che riconosco come casa».

Com’è cambiata la tua vita dopo la scelta di partire?
«Direi che sono sicuramente cresciuto come professionista, ma soprattutto come persona. Ti rendi conto che la differenza è nei dettagli. New York mi ha reso molto sicuro di me stesso. Professionalmente sono riuscito a costruire quello che volevo, mi ci sono voluti anni, anni in cui mi sono anche distratto dal mio obiettivo e ho perso tempo, ma alla fine ci sono arrivato. Ricordo ancora con immensa gioia, mentre facevo il cameriere in un ristorante, quando ho ricevuto la mail da un recruiter in cui mi si proponeva di sviluppare la campagna pubblicitaria di un marchio d’abbigliamento internazionale».

Vuoi lanciare un messaggio ai giovani che stanno pensando a un trasferimento all’estero, appena l’emergenza Coronavirus lo consentirà?
«L’unica cosa che rimpiango è non essere partito prima. Partite».

 

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Categorie: Lavoro

Commenti (1)

  1. Cristina ha detto:

    Bravo!

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