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16 Settembre 2020

Margherita Oggero: “Provaci ancora, scuola”

La scrittrice torinese, ex docente, commenta l’attuale situazione del sistema scolastico e ci svela come nascono i suoi gialli ambientati a Torino

Gabriele Costa

Donna con capelli corti grigi e camicia beige - Margherita Oggero

Margherita Oggero

«Non credo nell’insegnamento a distanza. La scuola presuppone la presenza fisica degli insegnanti e degli allievi, attraverso la quale si realizza il passaggio di conoscenze ed educazione, nel senso di crescita della persona». In tempi di Covid la scuola sta ripartendo con una certa dose di suspense e quindi per parlarne abbiamo deciso di intervistare qualcuno che in fatto di educazione e misteri ha da insegnare: Margherita Oggero.

Nata e cresciuta a Torino, è stata a lungo docente in svariate scuole prima di diventare una scrittrice di successo a partire dal 2002, anno del suo primo romanzo, La collega tatuata, edito da Mondadori. Dopo sono seguiti oltre una ventina di romanzi, compresi diversi racconti con protagonista Camilla Baudino, insegnante che risolve casi insieme alla polizia e che ha ispirato la serie televisiva della Rai Provaci ancora prof!.

Di fatto quindi Margherita Oggero non si è mai allontanata dai banchi di scuola: «E chiarisco quel che per me significa educazione: non semplice rispetto delle regole, ma percorso fondamentale di una crescita sentimentale più che logica. Penso che nei limiti del possibile sia stato giusto ripristinare tutte le condizioni per una didattica in presenza».
Eppure, ammonisce la Oggero, il sistema scolastico mostrava grandi difficoltà già da prima del Covid: «Se è vero, come dicono le statistiche, che soltanto il 30% degli italiani riesce a capire il senso di un periodo costituito da una preposizione principale e due proposizioni secondarie, vuol dire che siamo messi male e che non siamo in grado di capire un testo minimamente complesso».
La scrittrice mette poi in luce una scomoda verità: «Non è vero che i bambini nascono con un’avversione per la lettura, infatti l’editoria per l’infanzia è quella che tira maggiormente. Il buco nero è la scuola media, mal pensata da un punto di vista di programmi e finalità educative».

Come far riscoprire ai ragazzi l’amore per i libri? «La lettura dovrebbe essere un piacere, ma a scuola andrebbe in qualche modo certificata. Bisogna dimostrare che lo studente abbia avuto realmente un contatto diretto col testo e non solo attraverso il riassunto su Wikipedia. La costrizione alla verifica fa però diminuire il piacere della lettura – prosegue – sta allora agli insegnanti, a quel punto, tenere conto, oltre all’insieme di una classe, quelle che sono le singole personalità».
Ma la Oggero si spinge in là con le sue riflessioni: «C’è però il pericolo di una contraddizione: se i ragazzi hanno una propensione a leggere i testi facili, ci limitiamo solo a quelli? Non esiste una formula magica per fare amare la lettura. In una scuola pensata con un orario pomeridiano invece – suggerisce – si potrebbero svolgere sedute di lettura collettiva ad alta voce. L’amore per i libri dovrebbe nascere come fatto corale quando non nasce come necessità individuale».

Niente formule magiche dunque, nemmeno nella scelta di Torino come teatro per molti dei suoi romanzi: «Ciascuna città o paese si può prestare alla costruzione di una storia, dipende da quali interesse lo scrittore nutra. Molti giallisti raccontano la città in cui vivono come ambientazione per le loro storie, ma molti altri – continua – le costruiscono in luoghi immaginari con una tale veridicità che sembrano veri. Ci sono città più multiformi che si prestano bene rispetto ai piccoli centri, però anche libri che sono ambientati in paesi di poche anime possono avere un grande interesse narrativo».

Spunti narrativi che possono condurre, appunto, alla costruzione di un giallo: «Si è sempre legati a una sollecitazione della cronaca – spiega la scrittrice – poi si ambienta il giallo in una città di cui si conoscono tutte le zone, anche quelle problematiche. Io ho ambientato le mie storie a Torino, forse perché sono pigra e perché preferisco parlare di cose che ho studiato a fondo». Consapevole però del rischio che questo può comportare: «Credo sia necessario sempre un certo distacco tra l’autore e i personaggi e le vicende narrati. Il pericolo maggiore è di girare intorno al proprio ombelico, di costruire il personaggio che ti assomiglia e scrivere storie che ti sono capitate senza mantenere la distanza necessaria tra la propria vita e le proprie avventure letterarie. A Camilla Baudino – conclude – di me non ho dato niente, se non la professione e una certa propensione all’ironia e all’autoironia».

Lo stesso atteggiamento che ci serve oggi più che mai, insieme alla presenza di un buon libro sul comodino.

 

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Categorie: Cultura, Formazione

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