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18 Settembre 2020

Referendum sul taglio dei parlamentari: sì o no?

Due rappresentanti dei comitati promotori illustrano le opposte posizioni rispetto alla consultazione del 20 e 21 settembre

Fabio Gusella

Schede colorate referendum

Il referendum sul taglio dei parlamentari sarà il 20 e 21 settembre

Domenica e lunedì gli italiani saranno chiamati alle urne per esprimersi sulla riforma costituzionale che, se approvata, ridurrà il numero complessivo di deputati e senatori da 945 a 600.
Per ascoltare le ragioni del Sì e del No abbiamo posto alcune domande a Raffaello Morelli – membro della presidenza del Comitato per il Sì al taglio dei parlamentari, classe 1940, politico di lungo corso di area liberale – e Fabio Malagnino, presidente del comitato Noi No, 46 anni, giornalista esperto di comunicazione istituzionale e digitale.

Presentateci alcune buone ragioni per confermare o bocciare questa riforma costituzionale.
Raffaello Morelli: «La ragione di votare Sì a questa riforma è una ragione strutturale. Sfoltire la pletoricità del Parlamento italiano rispetto agli altri e ridurre il numero degli eletti migliora la funzionalità dei lavori e delle decisioni in Aula, li rende più comprensibili ai cittadini che osservano dall’esterno e infine spinge a un dibattito elettorale molto più attento alle idee e ai conseguenti progetti rispetto alle usuali diatribe di potere. Questo concetto lo aveva già espresso con chiarezza Einaudi alla Costituente. Tutto ciò rafforza non poco la qualità della rappresentanza che è la questione essenziale, non la quantità».
Fabio Malagnino: «La prima buona ragione per votare No è la diminuzione del rapporto tra eletti e cittadini: la rappresentanza verrà ridotta del 37%. Ci sarà un deputato ogni 154mila abitanti e un senatore ogni 301mila. Perciò le realtà più piccole, le famose aree interne, non avranno più voce in Parlamento. Inoltre, con meno posti a disposizione, l’unico modo per essere eletti sarà essere fedeli al proprio “capo” partito e non ai cittadini che si vogliono rappresentare. Infine, l’argomento dei risparmi è al limite del ridicolo: risparmieremo un caffè a testa all’anno. Vale la pena mettere a rischio la democrazia del nostro paese per un caffè?».

Perché un giovane elettore dovrebbe recarsi alle urne e sostenere la vostra posizione?
R. M.: «Perché soprattutto i giovani hanno interesse a cambiare le strutture così da farle funzionare meglio. Perché è qui il nocciolo politico culturale di questo referendum: lo statico conservatorismo del No, per cui nulla va cambiato al di là delle chiacchiere, accompagnate dalle visioni utopiche che non hanno mai seguito, contro lo sforzo dinamico del Sì di innescare un po’ alla volta mutamenti concreti, con l’obiettivo di far funzionare meglio il meccanismo rappresentativo. Perché esso solo rinnovandosi periodicamente mantiene la funzione di partecipazione pubblica dei cittadini in carne e ossa. È la maggior novità trovata negli ultimi quattro secoli, al fine di individuare sperimentalmente le soluzioni funzionanti nella complessa convivenza. Il valore delle istituzioni non sta nella promessa utopica. Sta nell’esser capaci di assicurare ai cittadini i servizi indispensabili per realizzare la civile convivenza quotidiana. Questo è l’interesse precipuo dei giovani, non sognare».
F. M.: «Perché il futuro del paese non può essere costruito sulla retorica dell’antipolitica. Perché questa riforma espone la nostra democrazia a gravi rischi: chiunque, con un Parlamento asservito e una legge elettorale che può essere cambiata facilmente, è in grado di imprimere una svolta autoritaria al paese. I nostri nonni hanno lottato per la libertà e la democrazia, valori fondanti della Costituzione. Di certo la nostra Carta fondamentale non può essere svilita da certe immagini, come Luigi Di Maio armato di forbici che taglia poltrone davanti al Parlamento. Credo che giganti della democrazia come Calamandrei, Terracini, Togliatti, Einaudi ci guardino preoccupati».

C’è qualche punto sollevato dal comitato opposto che si sente di condividere?
R. M.: «Se ne potrà discutere dopo che è stata confermata la riforma del taglio del numero degli eletti. Infatti il quesito del 20-21 settembre è chiaro e circoscritto. Se non passasse questa logica del passo dopo passo, si tornerebbe alla logica del puntare a fare una riforma compiuta, che è fallita per mezzo secolo e che molto probabilmente fallirebbe ancora. Se invece, come auspichiamo, passerà, allora sarà naturale discutere sull’aggiungere a tale riforma le altre che si riterranno necessarie, quali la nuova legge elettorale e i regolamenti parlamentari. Ma deve restare chiaro che le riforme successive sono di genere diverso rispetto al taglio del numero degli eletti. E seguiranno altre valutazioni da soppesare con cura. Ad esempio, c’è chi chiede di ridurre il numero dei delegati delle Regioni per l’elezione del Presidente della Repubblica. Ma farlo contraddirebbe l’esigenza di rafforzare il suo ruolo di rappresentante della “unità nazionale”, che invece consiglierebbe l’aumento della platea degli elettori non parlamentari».
F. M.: «Nessuno. Non esistono correttivi e non esistono miglioramenti per questa riforma. Si tagliano i parlamentari sulla base di promesse di provvedimenti che non esistono, se non nella testa di chi cerca di giustificare il Sì in ogni modo. L’unico taglio è quello della realtà, come dice il senatore Tommaso Nannicini. Oggi chi dice No difende la Costituzione e la democrazia. Dal 22 settembre potremo aprire, con calma e approfondimento, un vero cantiere di riforme organiche per l’Italia».

 

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Categorie: Cultura

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