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2 Ottobre 2020

I locali di Torino: “Un nuovo lockdown sarebbe la nostra fine”

Gli esercenti di alcuni luoghi della movida ci hanno raccontato questi mesi di riapertura: per tutti il timore è di dover di nuovo abbassare la saracinesca

Gabriele Costa

Persone sedute a tavolini di un locale di sera

I locali della movida temono un nuovo lockdown (foto di C. Zecca)

Dalla fine della quarantena cose apparentemente scontate come uscire a bere una birra tra amici hanno acquisito improvvisamente un nuovo valore. Così, se i mesi chiusi in casa sembrano ormai alle spalle, gli effetti della chiusura sulla movida cittadina non lo sono ancora.
Lo sanno bene quanti lavorano nei locali che animano la notte torinese (raccontata negli scatti del nostro fotografo Corrado Zecca) e che servono da bere a centinaia di giovani. Abbiamo quindi chiesto ad alcuni proprietari di descriverci come sia cambiata la situazione dopo l’arrivo del Covid, con uno sguardo al futuro, che molti non vedono roseo.

Ciò che emerge chiaramente è il drastico calo di affluenza dovuto alle norme imposte per rispettare il distanziamento sociale. Nel caso dell’Ambhara Bar di Borgo Dora la situazione, già messa in seria difficoltà dalla pedonalizzazione del quartiere, è critica: «Non si lavora più – dichiara la responsabile – escono solo i giovani che non hanno paura del virus, gli adulti hanno più timore».
«In questo momento stiamo lavorando normalmente. Siamo qui da vent’anni – dice invece Andrea Garino, responsabile del Jumping Jester in zona Porta Nuova – ed essendo un pub abbiamo i nostri clienti. Ci mancano tanto gli universitari la sera, dato che molti fuorisede sono tornati a casa».

Durante il lockdown alcuni esercenti si erano ingegnati per consegnare la birra a domicilio. Si trattava dell’iniziativa San Salvario a casa tua, promossa da alcuni locali della zona e promossa da Gambero Rosso, La Stampa e il Sole 24 ore: «Il ritorno in termini economici non c’è stato – ci confida Fabrizio Fasano, proprietario del Closer – questa vendita al pubblico comporta una spesa importante ma ci ha permesso di fare capire ai clienti che eravamo ancora vivi».

In estate poi i locali hanno cominciato a ripopolarsi, con le necessarie cautele. Al Quadrilatero «i ragazzi tendenzialmente hanno rispettato le norme di sicurezza – ci rivela Amedeo Iunco, proprietario dello Shore – a parte il sabato, che è il giorno in cui la gente esce maggiormente».
Di diverso parere la responsabile dell’Ambhara Bar: «Le norme non le rispetta nessuno. Se dici a qualcuno di entrare con la mascherina si offende, mentre c’è quello pauroso che non ti fa manco toccare il bancomat. Noi facciamo rispettare le regole – conclude – ma nei locali vicini questo non avviene. Sembra che alla gente non importi della sicurezza».

A San Salvario, invece, c’è uno stretto controllo delle forze dell’ordine, che secondo Fasano ha costretto il cliente medio a spostarsi in zone con meno restrizioni.
Per fare fronte all’emergenza e rientrare nel bilancio sono state applicate diverse strategie. È il caso delle Panche, luogo di aggregazione giovanile vicino al Campus Einaudi, dove il celebre spritz a un 1,50 € ora costa due euro in più: «Nel periodo invernale, non avendo posti interni, abbiamo sempre contato sull’assembramento – ci dice il proprietario Massimiliano Marello – di solito quando ci si trovava tutti vicini bevendo si sentiva meno freddo, ma adesso la gente uscirà meno perché ha paura di influenzarsi. E dobbiamo anche mantenere le distanze».

Le aspettative sul futuro sono incerte: «Sono ottimista, altrimenti non farei questo lavoro – afferma Fasano del Closer – ma mi auguro che non arrivino ulteriori misure restrittive, perché per alcuni significherebbe la chiusura definitiva».
«Noi siamo uno di quei locali dove la gente va per evadere – conclude Iunco dello Shore – è
chiaro che se nessuno ha i soldi noi siamo i primi a essere sacrificati. Un nuovo lockdown sarebbe
devastante per noi, non siamo riusciti a recuperare tutto quello che è stato perso durante la chiusura,
riusciamo a mantenere a galla l’attività con la cassa integrazione facendo stare a turno i dipendenti a
casa. Un’altra chiusura potrebbe non farci riaprire».

 

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