Home » Intercultura » Il dramma della chirurgia estetica in Corea del Sud

29 Ottobre 2020

Il dramma della chirurgia estetica in Corea del Sud

Migliaia di giovani decidono di cambiare il proprio volto per assomigliare agli occidentali e trovare lavoro: ne parliamo con Anna Mazzonetto, esperta di cultura coreana

Giovanni B. Corvino

Due volti di ragazza, prima e dopo la chirurgia estetica - Corea

Moltissimi coreani vogliono assomigliare agli occidentali per trovare lavoro

La Corea del Sud è al quarto posto nella lista dei paesi con il più alto numero di chirurghi plastici, oltre 2.000 medici aventi il compito di soddisfare la domanda dei cittadini, più di un milione di operazioni solo nel 2014 . Ma chi ricorre alla chirurgia estetica in questa specifica area geografica e perché? Si tratta in maggioranza di giovani che cercano lavoro.

CHIRURGIA ESTETICA E LAVORO
È risaputo che un bell’aspetto possa essere un buon biglietto da visita per trovare un’occupazione. Se questo sembra attuale anche in Italia, in Corea del Sud parrebbe essere fondamentale, anche più di svariati anni di esperienza professionale.
Il portale del lavoro Saramin ha condotto un’indagine a riguardo e i risultati sono allarmanti. Oltre il 90% delle aziende del paese richiede una foto dei candidati in cerca di lavoro. L’immagine è così importante da aver spinto un terzo dei 314 manager delle risorse umane intervistati ad assumere esclusivamente sulla base dell’aspetto, nonostante il background delle persone scelte non coincidesse molto con quanto presente nell’annuncio di selezione. Ancor più sconcertante è che circa il 50% dello stesso campione abbia dichiarato che, nel corso della propria carriera, almeno una volta non ha assunto candidati per lo stesso criterio.
Ci sarebbero quindi precisi canoni estetici che, se non soddisfatti, in Corea rischiano di compromettere le possibilità di entrare nel mondo del lavoro.

IL PARERE DELL’ESPERTA
Secondo l’esperta di cultura coreana Anna Mazzonetto, che vive nel paese da molti anni, ciò riguarderebbe maggiormente le donne che gli uomini: «Gli asiatici in generale hanno il ponte del naso più piatto rispetto al nostro – dice – e, grazie al filler, riescono a dare più tridimensionalità al volto. A questa operazione, che si può fare dal dermatologo, si aggiungono la correzione delle palpebre e la ridefinizione delle mascelle. In questi due casi, però, si deve andare da un chirurgo».
Questi interventi hanno l’intento di dare tratti più caucasici, considerati attraenti nel mondo asiatico. Se però ciò vale per le donne, per gli uomini sembra che le cose stiano cambiando: «Adesso vanno più di moda i ragazzi con gli occhi fini e allungati – continua la Mazzonetto – in quanto si seguono i canoni estetici proposti dal mondo dell’entertainment. Va però ricordato che spesso sono i genitori che propongono ai loro figli di sottoporsi a questi interventi, anche già dopo il conseguimento del diploma». Questo perché all’uomo può potenzialmente permettere di avanzare con la carriera, mentre «alla donna può aiutare a trovare marito perché c’è ancora una mentalità per cui si deve essere belle – conclude – così da riuscire a sposarsi e avere qualcuno che provveda a portare i soldi a casa, anche qualora lei non riesca a trovare lavoro».

LE ORIGINI DEL FENOMENO
L’interesse per la chirurgia plastica in Corea risale comunque a oltre mezzo secolo fa. I primi interventi si devono a David Ralph Millard Jr., uno dei pionieri della chirurgia ricostruttiva rivolta ai feriti della guerra qui combattuta negli anni ‘50. È durante questo periodo che il medico compie numerose operazioni oculistiche e di correzione delle palpebre, per aiutare molti soldati a recuperare danni legati alla vista.
Il suo lavoro si estenderà poi però anche alle prostitute locali che, volendo rivolgere i loro servizi ai soldati Usa presenti nel paese, si resero conto che con la blefaroplastica potevano assomigliare di più alle donne americane e quindi essere più attraenti per i militari. Inoltre, anche altre coreane ricorsero alla correzione delle palpebre, ma il loro fine era di divenire “mogli di guerra”, ossia sposarsi con dei soldati americani per trasferirsi con loro negli Stati Uniti e sfuggire alla terribile situazione socioeconomica in cui versava il paese.
Oggi come allora, quindi, il sogno è l’Occidente: se non viverci, almeno assomigliare a chi ci vive, con la speranza di un’esistenza migliore, ma a discapito delle proprie origini.

 

Tag: , , , ,

Categorie: Intercultura

Lascia un commento