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13 Novembre 2020

Patrick Zaki, simbolo di un mondo poco sicuro

Con il Presidente di Amnesty International Italia abbiamo fatto il punto sullo studente egiziano iscritto all’Università di Bologna arrestato al Cairo oltre 9 mesi fa

Vincenza Di Lecce

Disegno raffigurante Patrick Zaky

Patrick Zaki è in carcere in Egitto da oltre 9 mesi

Bendato e ammanettato. Poi interrogato per 17 lunghissime ore, mentre è torturato con scariche elettriche. Così, il 7 febbraio scorso, Patrick Zaki viene arrestato all’aeroporto del Cairo. Ricercatore all’Università di Bologna, il 27enne stava tornando nel suo Paese per una breve vacanza. L’accusa nei suoi confronti è quella di azioni sovversive su pagine Facebook: una decina i post incriminati, considerati poi dalla difesa fasulli. Il giovane rischia ora 25 anni di carcere.
Abbiamo parlato della sua vicenda con Emanuele Russo, torinese, Presidente di Amnesty International Italia.

LA SITUAZIONE ATTUALE
Patrick è ormai in carcere da nove mesi, senza nessuna sentenza pronunciata. Il 7 ottobre scorso è stato deciso di prolungare di altri 45 giorni la detenzione preventiva. L’udienza prevista poi per il 7 novembre è stata rinviata al 21 di questo mese. Una situazione difficile, complicata dall’emergenza sanitaria: «Sappiamo che le condizioni di salute di Patrick, che è asmatico – afferma Russo – rendono ancora più delicata una situazione che sarebbe già di per sé molto complessa. Noi stiamo continuando la nostra mobilitazione».
Numerose infatti sono le iniziative che Amnesty ha contribuito a realizzare in tutta Italia nelle scorse settimane e diverse sono state anche le richieste a livello internazionale grazie a 300 parlamentari, di cui una sessantina di statunitensi. Alcuni componenti del Parlamento Europeo o di altre assemblee nazionali hanno inviato lettere pubbliche al presidente egiziano Al-Sisi, chiedendo l’immediata scarcerazione di Patrick.

IL GOVERNO ITALIANO
Secondo l’associazione per i diritti umani anche il Governo italiano dovrebbe muoversi con sollecitudine e fermezza: «Quello che a noi piacerebbe – continua Russo – è che Conte richiamasse temporaneamente il nostro ambasciatore, in modo tale da poter avere delle consultazioni».
Una richiesta orientata all’istituzione di un mandato chiaro: «Come Amnesty siamo già intervenuti nei mesi scorsi – spiega – per denunciare un particolare rinvigorimento degli affari economico-militari tra Italia ed Egitto». Questa la ragione che a parere del movimento impedisce al Governo di avere un ruolo di primaria importanza nella richiesta di liberazione dello studente.

PATRICK COME GIULIO REGENI?
La storia di Patrick Zaki fa tornare alla mente inevitabilmente quella di Giulio Regeni, dottorando all’Università di Cambridge rapito e poi morto in Egitto nel 2016. Due ragazzi e due vicende emblematiche per descrivere la condizione di centinaia di migliaia di giovani e cittadini egiziani che ogni settimana scompaiono, rimanendo per mesi nelle carceri di Al-Sisi.
Giulio e Patrick sono stati entrambi ingiustamente accusati di azioni sovversive contro il regime egiziano. «Patrick Zaki – prosegue il Presidente di Amnesty – è stato considerato da diversi media del regime colpevole anche per il proprio presunto orientamento sessuale: da parte nostra ciò è fortemente respinto, non tanto per la sua vita privata che è assolutamente irrilevante, quanto per il fatto che un governo autoritario e tv e giornali a esso asserviti possano pensare di utilizzare ipotetiche caratteristiche individuali come giustificazioni per la privazione della libertà».
Ma, spiega, tra le due storie c’è anche un elemento di discontinuità: «Il comportamento che ha avuto l’Università di Cambridge nel richiedere verità per Giulio Regeni è completamente diverso, in termini negativi, rispetto alle azioni che l’Università di Bologna sta portando avanti per richiedere la scarcerazione di Patrick Zaki».

L’URGENZA DI UNA DEMOCRAZIA
Le due storie gettano però una luce su cosa significhi per un singolo individuo finire in una vicenda che intreccia interessi politici ed economici fra stati. «Per quello che riguarda Amnesty – spiega Emanuele Russo – è fondamentale raccontare e mantenere viva la memoria di qualsiasi persona che stia subendo o abbia subito violazioni dei diritti umani di tale portata».
«Dal nostro punto di vista – continua – è importante riuscire a far comprendere al maggior numero di persone possibile che con una dittatura come quella di Al-Sisi, il rischio è potenziale per ognuno di noi». Il principale problema insito in ogni regime autoritario: «Non c’è nessuna persona – conclude il Presidente di Amnesty – che per il luogo in cui è nata, per la sua nazionalità, per le proprie condizioni economiche e sociali, può ritenersi esclusa da questo rischio».
Perché la verità è che storie come queste rendono il mondo un posto meno sicuro.

 

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Categorie: Intercultura

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