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15 Aprile 2021
Storie di donne e infibulazione
Partendo da un libro, una riflessione su questa pratica diffusa in oltre 30 paesi nel mondo e talvolta assecondata anche da medici compiacenti
Valeria Guardo
Negli ultimi anni sono stati pubblicati diversi libri che raccontano la vita di donne straordinarie, che hanno fatto la Storia. Ce n’è uno, però, che vuole dare una narrazione differente, puntando i riflettori su quelle donne che hanno vissuto dietro le quinte.
El despertar de las musas (letteralmente, Il risveglio delle muse) è un libro scritto dalla cantante e imprenditrice Beatriz Luengo e illustrato da bellissimi disegni ad acquerello di Marta Waterme. Il testo originale è in lingua spagnola, ma è disponibile anche una traduzione inglese dal titolo Badass Muses.
Il volume riporta in brevi racconti storie di donne ricche di talento e ingegno ma rimaste all’ombra di mariti, compagni o fratelli che ne hanno acquisito tutto il merito mentre a loro, al massimo, è stato riconosciuto il ruolo di ispiratrici.
Partendo da Eva, l’autrice ripercorre secoli della storia umana nei quali alle donne è stato conferito il ruolo di muse, ma mai di protagoniste. Tra queste, colpisce per ferocia degli eventi vissuti e attualità della causa (per la quale la protagonista è stata nominata ambasciatrice Onu) la storia di Waris Dirie: modella somala, scrittrice e attivista per i diritti delle donne che, come lei, sono vittime di infibulazione. La sua storia e le sue battaglie hanno ispirato anche il film Fiore del deserto di Sherry Hormann.
Waris nasce a metà degli anni ‘60 in una tribù nomade del deserto della Somalia e a soli 5 anni la madre la sottopone all’atroce pratica della mutilazione genitale, trattamento riservato esclusivamente alle figlie femmine per “preservarne” il pudore. A 13 anni, promessa in sposa a un uomo anziano del suo villaggio rimasto vedovo, Waris decide di scappare e, percorrendo da sola il deserto, inizia un lungo viaggio che la porterà nel Regno Unito. Qui viene ricoverata per una grave infezione vaginale causata non tanto dal taglio quanto dalla ricucitura, che impediva ogni mese al sangue di fluire.
In El Despertar l’autrice racconta un’altra testimonianza sul tema: quella di una giovane di origine africana, Yanka, che spiega come essere state ricucite possa addirittura costituire una vera fortuna, se si pensa che in diverse occasioni per suturare si usa la colla, che produce più infezioni.
Il 6 febbraio ricorre la Giornata Internazionale di tolleranza zero verso le mutilazioni genitali femminili e l’anno scorso in quella data l’Unicef ha pubblicato i dati di un’analisi secondo cui nel mondo 200 milioni di donne e bambine hanno subito tale tipo di violenza, e di queste un quarto (52 milioni circa) per mano di un medico.
La medicalizzazione di questa pratica è crescente e diffusa in oltre trenta paesi nel mondo e costituisce una violazione dei «diritti fondamentali, l’integrità fisica e la salute delle bambine e delle ragazze» come sottolinea Henrietta Fore, Direttrice Unicef. Il rischio che si corre nell’autorizzare e nel far eseguire una mutilazione genitale da un medico è che venga ritenuta più sicura e depenalizzabile.
Lotteremo perché non venga mai più praticato questo crimine sulle donne.