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27 Aprile 2021

In Usa la Virginia ha abolito la pena di morte

È il primo stato del sud a fare questo passo, dopo 45 anni in cui sono stati condannati soprattutto cittadini afroamericani

Giovanni B. Corvino

Volantino in inglese contro la pena di morte

Un volantino contro la pena di morte (credit Steve Rhodes)

Negli Stati Uniti la pena capitale è stata reintrodotta nel 1976, ma dalla sua fondazione nel XVIII secolo lo stato della Virginia ha giustiziato oltre 1.300 detenuti, secondo solo al Texas. Una record che si è interrotto poche settimane fa, con la firma da parte del governatore democratico Ralph S. Northam della legge che abolisce la pena di morte nello stato , rendendolo così il primo tra quelli dell’ex Confederazione schiavista del Sud a non tollerare più tale atto di violenza nei confronti di un cittadino.
L’amministrazione Biden si è più volte mostrata contro la pena capitale, indipendentemente dal crimine commesso, ma essa è ancora presente in 27 stati degli Usa, seppur in alcuni casi sia presente una moratoria.

LE PAROLE DEL GOVERNATORE
Il cambio di passo della Virginia è nato dalle considerazioni sulla disparità razziale della condanna, considerando che, solo nel corso del XX secolo, ben 296 dei 377 giustiziati per omicidio erano afroamericani.
A tal proposito il governatore Northam ha affermato: «La fine della pena di morte si riduce a una domanda fondamentale, una sola domanda: è giusto? […] Affinché lo Stato applichi questa punizione definitiva, finale, la risposta deve essere sì. “Giusto” significa che viene applicato allo stesso modo a chiunque, non importa chi sia. E “giusto” significa che abbiamo capito bene, che la persona punita per il crimine ha commesso il crimine. Ma sappiamo tutti che la pena di morte non può soddisfare questi criteri».
Le leggi della Virginia hanno per anni favorito, seppur spesso indirettamente, l’esercizio della pena capitale. Basti pensare che un ricorso giudiziario poteva essere negato qualora l’avvocato non avesse rispettato i termini di scadenza per la presentazione della domanda. Per questo e altri motivi, chi non era in grado di permettersi un avvocato con anni di esperienza e ampia conoscenza della giurisprudenza rischiava di essere condannato senza che il proprio caso fosse revisionato. Inoltre, come sostiene Robert Dunham, direttore del Death Penalty Information Center, spesso le giurie hanno emesso la loro condanna «[…] perché pensavano che sarebbe stato troppo pericoloso lasciare l’imputato tornare per la strada».

L’EREDITÀ DELLE LEGGI SEGREGAZIONISTE
LaKeisha Cook, co-ideatrice della riforma della giustizia, sostiene esista «[…] una connessione diretta tra la nostra attuale pena capitale moderna e la storia della nostra nazione con il linciaggio, la schiavitù e le leggi Jim Crow».
A conferma del suo pensiero vi è uno studio del 2015 dell’Università del North Carolina e del Georgetown Law Center sulle esecuzioni negli Usa tra il 1976 e il 2013. Da questa ricerca è emerso il ruolo che il pregiudizio razziale esercita nell’attuazione della pena capitale, anche in virtù del retaggio culturale di chi deve esprimere il proprio pensiero a riguardo. Considerando le esecuzioni tra il 1976 e il 2013, lo studio afferma che “l’unico fattore predittivo più affidabile per stabilire se un imputato negli Stati Uniti verrà giustiziato è la razza della vittima”.
Il movimento Black Lives Matter si è espresso più volte duramente nei confronti degli stati che ancora ricorrono alla pena di morte, dando seguito a numerose proteste. La speranza è che l’amministrazione Biden colga questo grido d’aiuto e faccia pressione sugli stati che tuttora hanno il potere di uccidere i propri cittadini, per arrivare ad abolire definitivamente la pena capitale.

 

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Categorie: Cultura

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